Ci sono molti modi per arrivare a un traguardo, sorridenti e braccia al cielo o con due spanne di lingua di fuori. Ci sono molti modi per arrivare a un appuntamento, profumati di fresco e col fiore all’occhiello o con la barba sfatta e la cravatta lenta. L’effetto non sarà lo stesso. 

Ieri Angelino Alfano è finalmente arrivato al suo traguardo (e pazienza che sia in realtà solo l’inizio dell’avventura), ha strappato la data del suo primo appuntamento. Le primarie del Pdl alla fine si faranno: il 16 dicembre, come s’era ipotizzato un mese fa. E si faranno in un’unica data, non con la grottesca e impraticabile formula dei caucus all’americana, regione per regione. 



Ieri il segretario del partito che fu di maggioranza relativa (anzi formalmente ancora lo è) ha riunito i vertici e, superando incertezze, timidezze e oppositori, ha sfidato Silvio Berlusconi, tuttora contrarissimo alla celebrazione di un rito che – per quanto poco sentito e partecipato – sancirà definitivamente il passaggio di mano della sua creatura, il Pdl. Un buon giorno dunque, ieri, per Alfano e per quello strano ectoplasma che continua a essere il Pdl. O almeno così sembrerebbe a prima vista. Ma ai traguardi, agli appuntamenti, dipende anche da come ti presenti.



Il 24 ottobre scorso, Silvio Berlusconi aveva fatto il grande passo, dopo mesi di cambi di direzione e un’agonia politica (del suo partito, perché ormai era chiaro da tempo che la sua biografia era già andata da un’altra parte) infinita: non mi ricandido, il 16 dicembre con le primarie il mio popolo sceglierà il successore, nel nome di una continuità saggia o almeno realistica con un anno di governo Monti, che il Pdl ha sostenuto. Forse era già troppo tardi per rilanciare un’iniziativa politica, ma almeno le elezioni (a marzo?) non erano ancora alle viste. 

Poi, come si sa, qualche giorno dopo a Villa Gernetto il Cavaliere Cupo fece un altro dietrofront. È stato allora che Alfano ha perso l’attimo: l’attimo cruciale in cui anche i figli “amati” devono mollare il colpo, tagliare il cordone ombelicale, dire addio. Avrebbe dovuto dire: pazienza, le primarie oramai sono indette, la strada montiana segnata, la biografia del Pdl adesso andrà per la sua strada. Invece ha tentennato – mancanza di cattiveria o di alleati che lo sostenessero, poco importa – e da allora ha cominciato a scivolare, con il partito, su un piano inclinato. 



Sono state settimane convulse, le primarie hanno rischiato di trasformarsi in un circo Barnum aperto ai più strani acrobati. E, soprattutto, il Pdl ha concesso il tempo ai suoi avversari di sistemarsi per bene sul campo di battaglia: il Pd con le primarie ormai definite (anche nell’esito, si vedrà tra poco). La strana cosa (bianca?) di Montezemolo e Riccardi ha celebrato il suo debutto in società, costringendo Casini, fino a ieri il kingmaker del Centro, a inseguire e a dover decidere, finalmente, cosa fare da grande.

Ora, il 16 dicembre, le primarie del Pdl potranno finalmente dare ad Alfano la legittimazione “dal basso” che gli mancava (sempre che tutto vada bene, non è mai detto), e soprattutto permettergli, se vincerà – assieme al suo fidato pacchetto di mischia, i La Russa, i Lupi, i Fitto – di stabilire la direzione da prendere in vista delle elezioni e della prossima legislatura. 

Ma intanto le strade si sono fatte più strette. Anche ammettendo che il nuovo Pdl riesca a tenere unite le sue litigiose anime (si va dalla destra di Giorgia Meloni ai liberisti-nordisti come Galan e Crosetto), il campo non è più sgombro: è chiaro a tutti che la contesa vera sarà tra un Partito democratico più o meno tinto di rosso, a seconda di come si conteranno i suoi elettori ai gazebo di domenica, e un Grande Centro un po’ caotico, un po’ montiano e un po’ furbetto, ma destinato comunque a occupare la scena moderata molto più di quanto possa ora fare il Pdl. 

Risalire un piano inclinato su cui si è scivolati troppo a lungo costa fatica, si rischia di arrivare con la lingua di fuori. Così che Alfano, ragionevolmente, non potrà che provare a convergere, con il suo riottoso partito, in una direzione obbligata, verso il centro, ma senza speranza di esserne la parte principale. Ieri, Giorgio Napolitano ha fatto intendere che Monti non ha necessità di candidarsi, perché è già senatore a vita, ma nulla gli vieta di “ricevere chiunque, dopo le elezioni, vorrà chiedergli un parere, un contributo o un impegno”.

Qualche settimana fa, forse, era già troppo tardi per invertire l’inclinazione del piano. Ma Angelino Alfano e i suoi avevano ancora la freschezza per farlo. Ora arrivano all’appuntamento col fiato corto e la cravatta allentata. E come ci si presenta a un appuntamento, conta pure quello, se vuoi fare colpo.