Non c’è dubbio che questa domenica di novembre sia, nel suo complesso, un grande successo del Partito Democratico. Il segretario Pier Luigi Bersani, accettando il gioco che Matteo Renzi ha di fatto voluto e imposto, si è calato in “primarie” vere, reali, anche dure nei toni, molto differenti da quelle del passato, che parevano una sorta di “spottone” mediatico, dove tutto era già deciso prima ancora del voto e si ripeteva solo il gioco della “consacrazione”, con una chiamata che sapeva tanto di plebiscitario per non parlare schematicamente di “bulgaro”. In questo senso, occorre dirlo con chiarezza, il Pd ha dato una lezione ai concorrenti di centrodestra, che sembrano ancora incerti su “primarie o non primarie”, sulla perenne scelta di un partito con un leader carismatico che di fatto azzera una dialettica politica, che è sempre necessaria, importante e che in questo momento serve al Paese. Serve soprattutto ai cittadini di questo Paese, che guardano con sempre maggiore disaffezione e scetticismo le cose politiche di questa “seconda repubblica” agonizzante.
Il risultato, ancora ufficioso, rispetta l’indicazione dei sondaggi, gli umori che si sono colti in queste settimane durante i dibattiti nei “circoli” e nelle varie sedi dove ci sono state riunioni con molti partecipanti, anche esterni al Partito Democratico. Vince Bersani con circa il 44 per cento dei voti. Ma secondo è proprio il giovane sindaco di Firenze, Matteo Renzi, la destra del partito, quello che l’ineffabile Rosi Bindi definisce, quasi con disprezzo, un “figlio di Berlusconi”.
Solo tra poche ore si saprà esattamente la quota, la percentuale raggiunta da Renzi, che al momento oscilla tra un 36 e 40 percento dei voti sinora scrutinati. Più staccato, nettamente, il presidente della Puglia, Nichi Vendola, il leader della sinistra del centrosinistra, quello che dovrebbe (il condizionale è diventato ancora più d’obbligo in queste ore dopo la prima dichiarazione di Vendola) appoggiare Bersani nel ballottaggio inevitabile per la designazione del leader che guiderà la coalizione alle prossime elezioni politiche.
Stefano Folli, ex direttore de “Il Corriere della Sera”, grande editorialista de “IlSole24Ore”, grande analista della politica italiana, parla di “Una lezione di democrazia, da cui altri protagonisti della vita politica italiana dovrebbero imparare”.
Si tratta di un successo politico del Pd? Si, credo che si possa veramente parlare di un successo politico, perché, è vero che queste “primarie” sono state vere “primarie”, non una farsa come quelle precedenti. C’è stata divisione, c’è stata dura contrapposizione e il risultato lo dimostra, con il ricorso al ballottaggio.
Vince Bersani, ma non si può dire che Matteo Renzi perda. E’ giusto, a suo parere, questo giudizio? Bersani ha avuto il merito di accettare questo gioco duro. Ma ora entra in una zona a rischio. Bersani deve governare un partito dove, presumibilmente, nel ballottaggio può arrivare al 60% dei voti contro il 40% di Renzi. Non è un gioco semplice, non è un compito facile. Perché Bersani, a questo punto, nel governare un partito non può non tener conto delle idee, della presenza del 40 percento di quel partito.
C’è chi dice che Renzi abbia preso consensi all’esterno del Pd, per il concorso di elettori magari scontenti degli altri partiti, anche del centrodestra? Ma questo è un grande merito di Renzi. Il fatto che, dalle posizioni del Partito democratico, dalle sue idee di destra di questo centrosinistra, sia capace di attirare voti esterni è un merito e non un demerito. Io trovo veramente provinciale, in senso sbagliato, questo giudizio, che viene anche dall’interno del Pd, da alcuni esponenti del Pd, che sembrano i leader di un partito che “si chiude a riccio” e non di un partito aperto, moderno. di un partito veramente democratico.
Come vede in definitiva la differenza dei voti di Bersani e quelli di Renzi? Penso che Bersani abbia preso i voti suoi, quelli all’interno del partito, mentre Renzi ha preso quelli suoi nel Pd e anche quelli esterni. Tutto questo può rivelarsi una sorta di “vittoria di Pirro” per Pier Luigi Bersani.
Per quale ragione, Folli?
Per alcuni motivi che cercherò di riassumere. In primo luogo Bersani prende i voti solo all’interno del partito ed è costretto ora ad allearsi con la sinistra di Nichi Vendola per il rush finale nella corsa alla leadership che si presenterà alle politiche. Questo lo indebolisce un poco nelle prospettiva di una sua futura leadership a Palazzo Chigi. Che cosa possono pensare i mercati finanziari internazionali rispetto a un leader che deve ottenere la “nomination” e poi governare con il supporto di un esponente della sinistra come Nichi Vendola? In più c’è la sfida principale. Come può oggi Bersani sintetizzare la linea del partito, mantenere la laedership all’interno del Pd non tenendo conto che il 40% del partito è d’accordo con la linea politica di Renzi? E’ proprio adesso che arriva il difficile per Bersani, che deve dimostrare di essere un bravo leader politico. Ma la sfida non sarà affatto semplice.
Forse molti pensavano che la percentuale che poteva raccogliere Renzi fosse solo virtuale, scritta più dai sondaggi che dalla realtà. Ma non è andata così. Renzi ha ottenuto proprio il risultato che aveva promesso. Ha mantenuto le aspettative. A questo punto, riconoscendo al Pd il merito di aver svolto un grande momento di democrazia, si apre una partita politica complicata, non semplice soprattutto per Bersani e per il futuro dello stesso partito.
(Gianluigi Da Rold)