“La Rai è piena di professionalità, ma nessuna azienda è autoreferenziale, forse lo è soltanto la Corea del Nord”. Luigi Gubitosi, da luglio amministratore delegato del servizio pubblico radiotelevisivo respinge così al mittente la più forte critica al suo primo pacchetto di nomine editoriali, quella di aver scelto un esterno, Mario Orfeo, per la guida del Tg1. 46 anni, napoletano, cresciuto a “Repubblica”, Orfeo è per la verità un cavallo di ritorno, avendo diretto per meno di due anni il Tg2, per poi tornare all’antico amore della carta stampata con la direzione del “Messaggero”. Vanta vasti contatti trasversali ed anche la benedizione del Capo dello Stato, che gli concesse un’intervista-chiave all’epoca della direzione del Tg2, preferendolo come interlocutore ad Augusto Minzolini. Orfeo è chiamato a sostituire Alberto Maccari con effetto praticamente immediato, per far recuperare autorevolezza e credibilità alla prima testata pubblica, con un occhio agli ascolti sempre più in difficoltà, con sconfitte a ripetizione negli ultimi giorni da parte di un Tg5 che non brilla certo per originalità ed inventiva.



Su questa nomina Gubitosi si gioca molto: se dovesse funzionare si potrà intestare il successo praticamente in solitaria. Ma se dovesse rivelarsi un flop, la caduta di Orfeo si porterebbe appresso anche la testa del dg voluto da Monti per risanare il servizio pubblico. Il resto del pacchetto-Gubitosi va nella stessa direzione. A Rai1 Giancarlo Leone sostituirà Mauro Mazza, a Rai2 Angelo Teodoli, a Rai3 Andrea Vianello. Nomine – nelle intenzioni – di rilancio e rinnovamento. Per arrivare a questi nomi Gubitosi ha lavorato per mesi, incontrando un ginepraio di difficoltà e di veti incrociati. L’ultimo, poche ore prima dell’annuncio, riguardava la collocazione futura di Mazza. Un elemento delicato che ha rischiato di fare saltare tutto. Decisamente l’uomo forte di viale Mazzini ha mostrato di muoversi più a suo agio per quanto riguarda al struttura economica dell’ente radiotelevisivo pubblico. Ha usato le maniere forti sulla Sipra, la concessionaria di pubblicità, vero tallone d’Achille della RAI, rivoluzionandone il vertice e inserendo se stesso nel consiglio d’amministrazione.



Nella lettera ai dipendenti inviata il 16 novembre Gubitosi evidenzia un calo drastico della raccolta pubblicitaria: da 2863 milioni di euro nei primi otto mesi del ai 2552 del corrispondente periodo di quest’anno. Meno 311 milioni di euro a fronte di un buco di 200 stimato a fine 2012. Il grande buco nero della RAI è quindi qui, anche perché i dati di ascolto dicono che la Tv pubblica resta saldamente prima, segnando nel giorno medio un calo di appena lo 0,4 per cento contro il meno 2,5 per cento segnato da Mediaset, un dato da autentico profondo rosso. Un intervento sul versante editoriale, però non era più rinviabile, e probabilmente non si fermerà a queste prime quattro nomine, Dovrà riguardare necessariamente non solo numerose altre poltrone, ma la struttura stessa della Rai come la conosciamo sino ad oggi, mettendo forse in discussione persino la storica tripartizione dei telegiornali. Ma per una simile operazione il tempo non è propizio, essendo ormai dietro l’angolo una lunga e difficile campagna elettorale.



 

Se ne parlerà dopo il voto politico, e nel frattempo ci sarà la possibilità di mettere a punto un piano complessivo, che faccia passare dalle parole ai fatti anche decisioni già prese e rimaste sinora sulla carta, come la fusione fra Televideo e RaiNews24. A Viale Mazzini si fanno intanto i conti sui vincitori ed i vinti. E un vincitore c’è già, è l’UDC di Pier Ferdinando Casini. Orfeo è considerato vicinissimo al’ex presidente della Camera, anche per aver diretto i due giornali della famiglia del suocero, “Il Messaggero” e “Il Mattino”. Ma considerati vicini all’UDC sono anche il direttore del Tg2, Marcello Masi, quello di Radio2, Flavio Mucciante e il neo capo della prima rete tv, Giancarlo Leone. Tutt’altro che negativi i rapporti anche con i nuovi vertici di Rai2 e Rai3, Teodoli e Vianello. Davvero niente male per un partito che vale il 5/7 per cento nei sondaggi. E Bersani così, se diventasse premier, dopo aver vinto le primarie, si ritroverebbe al fianco esplicitamente solamente il Tg3. In pratica niente di più di quel che aveva stando all’opposizione.