Caro direttore, non so quanti si siano resi conto che durante la straordinaria festa “primaverile” delle primarie del centrosinistra, svoltesi il 25 novembre scorso, è accaduto un fatto di enorme portata che potrà cambiare radicalmente la fisionomia del nostro sistema politico. Per dirla brutalmente, tra qualche mese potrebbe non esserci più il Pd. A mio modo di vedere c’è solo una possibilità: che Bersani, vincendo il ballottaggio con Renzi, sappia accogliere nella sua visione il senso profondo del fenomeno Renzi che ha sin qui animato la scena politica, e sappia dialogare con queste soggettività.



Nella furia delle polemiche e nello scatenarsi di passioni e interessi è stato del resto sin qui molto difficile uscire dagli schemi di un dibattito tutto interno al Pd che ha visto giocare di rimessa il vecchio gruppo dirigente e allargarsi invece a macchia d’olio il consenso per Renzi. Oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che la rilevanza dei risultati ottenuti da Renzi esprime una profonda tendenza degli elettori a liberarsi di tutti i tradizionali rituali e di tutte le impalcature che hanno sorretto per decenni – dopo la svolta della Bolognina – praticamente gran parte dell’attuale gruppo dirigente del Pd. Un profondo bisogno di cambiamento, a volte persino dissacratore, ha investito il popolo della sinistra che ha mostrato in più occasioni di non sopportare la statica immobilità di ruoli e poteri strutturati in un gruppo ristretto e con equilibri non trasparenti.



Questo gruppo dirigente peraltro non ha avuto la forza di denunciare le proprie mediocrità, i nepotismi e i piccoli favori personali, i legami di gruppo usati come garanzia di sopravvivenza, e non è mai sceso in campo aperto a confrontarsi per le strade e per le piazze con la famosa “gente” di cui tanto spesso si parla nei talk show.

L’ondata di Renzi è un vento tempestoso e convulso che certo si è ispirato alla terribile parola della “rottamazione”, ma che non si può leggere solo in negativo come rifiuto della politica. Renzi rappresenta il mondo nuovo della comunicazione fra cerchie giovanili: lo stile tra lo spavaldo e lo sbruffone di chi è abituato a colpirti frontalmente. 



Debbo confessare che il fenomeno Renzi mi ha fatto venire alla mente analoghi movimenti tumultuosi come le primavere arabe e come i referendum  in Italia che accompagnarono le elezioni di Pisapia e De Magistris. Il linguaggio tipico della rete, una comunicazione di messaggi sincopati, allusivi e spesso ironici e però anche un tentativo di inventarsi qualche cosa di nuovo rispetto al già visto.

A prescindere dall’età anagrafica, un’atmosfera adolescenziale e quasi surreale di piccole complicità e di giochi di parole, in cui il discorso politico si esprime con brevi slogan e parole simboliche; una trama fluttuante e liquida come si vuole descrivere la società di oggi; un format che funziona senza lasciare troppe tracce, ma che basta a determinare una sorta di lieve eccitazione per una trasgressione apparentemente facile e mai sperimentata. 

Anche i vecchi dirigenti del Pci, quando andavano nelle scuole di partito suggerivano ai giovani militanti che le nuove leve dovevano bombardare il quartier generale per consentire il rinnovamento ma allora quelle parole, che ho spesso sentito pronunciare, non avevano nulla di sacrilego bensì incitavano ad una più forte passione politica capace di misurarsi anche con l’azione. Oggi il mondo di Renzi mi pare anni luce distante da quello che è stato il mondo tradizionale, dove si è via via evoluto l’attuale Partito democratico. Per questo non ho esitazione a dire che se lo spirito di Renzi dovesse pervadere l’elettorato di sinistra sarebbe di fatto segnata la fine del Pd.

Nella prospettiva renziana non ci sono discriminanti identitarie, non c’è un vero progetto politico articolato per i vari grandi settori della vita collettiva, nessun progetto di scuole e università né di mercato del lavoro. Il movimento dei giovani fans di Renzi assomiglia a un continuo andare e venire nella stessa piazza grande, senza fermarsi a scambiare giudizi e valutazioni e senza darsi appuntamenti per i giorni a venire. 

Decifrare qual è l’effettivo collante che unifica gli elettori di Renzi non è semplice, giacché non si tratta né di un’idea né di una meta ideale, ma fa pensare piuttosto al movimento dell’agitazione ritmica che si realizza nelle grandi discoteche dove si producono contatti ma non si creano rapporti. La supponenza e l’arroganza con la quale spesso Renzi e i suoi sostenitori rispondono alle domande loro rivolte danno l’idea di una sorta di razzismo implicito in una visione malcelata della propria superiorità. Ma proprio se si guarda a tutti questi aspetti ci si accorge che tutto ciò che questo mondo rappresenta è costruito su una sorta di vuoto pneumatico che può sparire da un momento all’altro. 

Nell’intervista a Fazio, Bersani ha affermato una grande verità: i partiti e le associazioni sono le vere infrastrutture civili di un Paese e perciò debbono essere stabili e capaci di accogliere tutto ciò che vive e si muove attorno a loro. Per dirla con una battuta, il movimento di Renzi mi sembra privo di infrastrutture sociali e politiche. Il riferimento alla rete, che per molti versi rappresenta una capacità innovativa della comunicazione, ne costituisce anche il limite profondo perché oscura il bisogno reale degli esseri umani di trovarsi di fronte ad interlocutori in carne e ossa tutte le volte che soffrono una perdita, una umiliazione o un disagio. 

È proprio qui che secondo me si deve misurare la capacità di Bersani di saper transitare questo popolo variopinto verso i solidi obiettivi che egli ha additato nel corso della campagna elettorale. Non è un’impresa facile perché Bersani è uomo di carattere molto fedele alle proprie convinzioni e indisponibile certamente ai piccoli giochi a cui era abituata la vecchia casta: tu vai al Senato, tu vai al Csm, tu ti occupi dello spettacolo, e così via. Bersani deve provare a mettere in atto quello che non gli è proprio congeniale, e cioè fare un appello agli elettori del Pd col tono di verità e di condivisione che solo le persone ricche di spontanea umanità sanno manifestare. Bersani dovrà indicare anche agli elettori di Renzi che la posta in gioco di non cancellare la parola “lavoro” dal vocabolario politico non è un fatto di sinistra, ma di civiltà. 

 

Se come penso Bersani riuscirà a vincere il ballottaggio, la partita della politica italiana si riapre a 360 gradi. La sua ambizione di non mettere in campo una forza minoritaria e impaurita all’idea di governare deve acquistare il timbro della grande evocazione di un futuro prossimo che non è per nulla destinato ad ammucchiare macerie e a distruggere vite. Il problema non sarà certamente quello del famoso articolo 18, che ha fatto già diversi danni senza alcun vantaggio, ma quello di impedire che in questo frangente d’epoca si consumi definitivamente la dignità e il significato dei tanti piccoli uomini e piccole donne che lavorano e vivono nei posti più disparati. 

 L’altra sera ho ascoltato Carlo Galli respingere con indignazione gli argomenti di una giornalista del Corriere che lasciava intravedere le responsabilità della sinistra italiana ed europea nella formazione del debito pubblico. Galli affermava con parole chiare, semplici e incontrovertibili che gli effetti del disastro economico e finanziario dell’occidente sono imputabili essenzialmente ai poteri non democraticamente legittimati della cosiddetta troika, del fondo monetario internazionale e del ceto manageriale del sistema finanziario servile e subalterno rispetto ai grandi finanzieri. 

È proprio su questa questione ineludibile della centralità del lavoro che si gioca invece la vera partita del futuro del Paese: da una parte ci sono tanti moderati, innovatori, stabilizzatori che tendono a ridurre l’intera vita di un popolo alla dimensione del mercato e della finanza globale; dall’altra ci sono forze, intelligenze, energie umane e naturali che si oppongono a questa squallida riduzione della vita a puri fatti monetari.

Fra qualche mese potremmo non avere più neppure il ricordo di quella che è stata la tormentata storia del Pd, oppure potremmo risvegliarci con una nuova immagine di noi stessi e del nostro ruolo nazionale. Bersani ha in questo momento la palla per la battuta vincente.  

 

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