Il dibattito sulla legge elettorale sembra quanto di più estraneo possa esserci alle esigenze e alla vita reale dei cittadini. Eppure, i suoi connotati definiscono le circostanze in cui la politica si troverà a dover concretamente operare. Contribuiscono, quindi, a mettere il Parlamento nelle condizioni di rispondere ai bisogni effettivi degli italiani. Sarà per questo che l’opinione pubblica sembra, a dispetto del tema trattato, sempre più consapevole della sua importanza. Secondo un sondaggio commissionato da Il Corriere della Sera all’Ispo di Renato Mannheimer, ben il 45% dei cittadini ritiene che una riforma vada varata subito. I partiti sembrano pensarla diversamente. Alcuni scogli apparentemente insormontabili, quali la reintroduzione o meno delle preferenze, l’adozione di un sistema proporzionale o maggioritario, o del premio di maggioranza fanno sì che le forze maggiori non siano ancora riuscite ad accordarsi. Abbiamo chiesto a Piero Ignazi, professore di Politica comparata presso l’università di Bologna, quali scenari si prefigurano.



Crede che i partiti riusciranno a trovare un’intesa entro la fine delle legislatura?

E’ una domanda, come si suol dire, da un milione di dollari. L’impressione, infatti, è che i partiti si trovino attualmente in una fase di stallo. In particolare, come è noto, il Partito democratico è da sempre favorevole ad un sistema maggioritario e a doppio turno mentre il Pdl è sempre stato contrario. Anche se, a dire il vero, non è ben chiaro quale sia, effettivamente, il modello che preferisce.



Perché il Pd preferisce il maggioritario?

Perché, semplicemente, si è reso conto del fatto che si tratta di un sistema che, elettoralmente, laddove associato al secondo turno, lo ha sempre premiato. In generale, gli ha sempre garantito, cioè, differenziali più alti rispetto al proporzionale; e di ottenere, al secondo turno, consensi più elevati rispetto al proprio bacino di utenza iniziale mentre il centrodestra non è mai riuscito ad andare al di là della somma dei voti dei singoli partiti.

In ogni caso, queste diversità di vedute potrebbe essere sufficienti a far persistere i partiti nella fase di stallo?



Il problema è che si tratta di differenze piuttosto importanti. Raggiungere un punto di incontro a tutti i costi potrebbe inevitabilmente produrre un testo confuso e raffazzonato. Credo che ci sia la consapevolezza del fatto che dar vita ad una riforma decente sia un’impresa più ardua del previsto.

Altro fattore del quale si discute (e che secondo il sondaggio di Mannheimer sarebbe gradito solamente al 36% degli italiani) è l’introduzione di un premio di maggioranza anche nella nuova legge elettorale

Va da sé che andrà a vantaggio di chi arriverà primo alla competizione elettorale. Quindi, è facile comprendere come possa volerlo chi presume di vincere. Detto questo, personalmente lo ritengo una distorsione della rappresentanza popolare inaccettabile.

Crede che sulle preferenze, invece, si troverà un accordo?

Spero e credo di no. Reintrodurle ci farebbe ripiombare in un passato dal quale, per fortuna, ci siamo allontanati. Ricordiamo che il sistema proporzionale con le preferenze comportò clientelismo, infiltrazioni e una presenza di interessi organizzati ben più potente di quella attuale.

Se si lascia tutto invariato, il sentimento dell’antipolitica potrebbe montare sopra i livelli di guardia?

Francamente, penso che difficilmente si possano superare gli attuali livelli di sfiducia nei confronti della politica. Con o senza la riforma della legge elettorale cambierà ben poco. L’ostilità ai partiti tradizionali, ormai, è un treno in corsa che procederà ancora a lungo e senza freni.

Eppure, secondo Mannheimer ben il 45% degli elettori la considera una priorità per il Paese. Crede che per l’opinione pubblica varare o meno una riforma del sistema elettorale sia così indifferente?

Indubbiamente è ritenuta una cosa importante. Ma fino a un certo punto. Molti elettori, magari, si ricordano che da tempo la politica ha promesso di varare una riforma entro la legislatura ma che, finora, non ci è ancora riuscita. Ma ritengo che si tratti solamente di uno dei tanti fattori legati all’incapacità della politica di cui i cittadini hanno consapevolezza e, sicuramente, non il più decisivo. 

 

(Paolo Nessi)

 

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