Entro al massimo 15 giorni, le norme che prevedono l’incandidabilità per chi è stato condannato potrebbero essere emanate attraverso un decreto legge. Il ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri sta lavorando, assieme ai colleghi titolari della Giustizia (Severino) e della Pubblica amministrazione (Patroni Griffi) a un testo composto, per ora, da dieci articoli che dovrebbe vedere la luce definitiva prima della fine della legislatura. La bozza prevede, in particolare, che non possa candidarsi a cariche pubbliche chi abbia subito condanne definitive superiori ai due anni per reati di grave allarme sociale e contro la pubblica amministrazione. L’idea è quella di ampliare il ventaglio dei reati che rientrino in queste fattispecie e, per alcune violazioni, di impedire la candidatura già alla sentenza di primo grado. Abbiamo chiesto a Giusepppe Cossiga, esponente del Pdl in commissione Giustizia alla Camera, come valuta l’operazione “liste pulite”.  



Come giudica il provvedimento che il governo sta mettendo a punto?

Avere liste pulite, effettivamente, rappresenta un’esigenza degli elettori e, indubbiamente, pone un problema di natura politica. Tuttavia, non credo che affrontare la questione attraverso l’emanazione di una legge sia il metodo corretto. Il nostro ordinamento, infatti, già prevede dei casi in cui il condannato sia interdetto dai pubblici uffici. Sarebbe sufficiente modificare il codice penale per introdurre altri reati cui conferire tale pena accessoria. Così facendo, si eviterebbero i rischi insiti in una legge del genere.



Quali rischi?

Interventi varati sull’onda di percezioni talvolta corrette e talvolta condizionate da quanto si legge sulla stampa destano sempre qualche preoccupazione. Siamo in un Paese in cui parte della magistratura fa politica attraverso sentenze di primo o secondo grado, avvisi di garanzia, carcerazioni preventive o rinvii a giudizio. Il provvedimento di cui parliamo non farebbe altro che conferirle ulteriore discrezionalità rispetto alla scelta di chi ha il diritto di candidarsi e chi no. La politica rischia di suicidarsi come nel ’93 quando, influenzata da un sentimento dell’opinione pubblica estremamente ostile, pensò di salvarsi rimuovendo l’istituto dell’immunità parlamentare.



Quindi?

Mi auguro che i partiti, a partire dal mio, si mettano nelle condizioni di fare pulizia da soli. E di recuperare quell’autorevolezza che li possa rendere capaci di convincere gli elettori delle proprie ragioni. La medesima questione si pone su tutti i fronti. Su quello della legge elettorale, per esempio: nessuno contesterebbe le liste bloccate se i cittadini avessero la garanzia che i partiti vi inserissero esclusivamente personaggi irreprensibili e dotati di professionalità e capacità adeguate ai propri compiti. Oltretutto, ricordiamoci che questo governo si è insediato perché la politica non è stata in grado di adempiere ai propri doveri. Tuttavia, la sua natura tecnica dovrebbe impedirgli di valicare certi limiti, quali il legiferare su questioni – come questa – che non gli competono.

Mentre il governo tecnico governava, la politica non è riuscita in nessuna delle pochissime imprese che le rimanevano, quali appunto il fare piazza pulita all’interno dei partiti. Non crede che se il governo porterà a termine il provvedimento, la sfiducia dei cittadini nei vostri confronti aumenterà ulteriormente?

Credo, francamente, che l’affidarsi ad un governo per definire la composizione della liste sancirà il disfacimento totale della politica.  

Perché, allora, il Parlamento ha dato la delega al governo per varare un provvedimento del genere?

Per gli stessi motivi che hanno spinto a chiedere all’esecutivo tecnico di fare anche tutto il resto: assenza di forza e coraggio.

Da qui alle elezioni ci sono ancora i margini per fare marcia indietro?

Di recente, il mio partito ha avuto un sussulto. Benché sia estremamente scettico nei confronti di strumenti quali i congressi o le primarie, credo ancora nelle persone. Angelino Alfano, di cui sono il primo critico, è, come tanti altri, onesto, responsabile e per bene. Il tempo, quindi, è quasi finito. Ma nelle poche ore che ci separano dalla mezzanotte, forse qualcosa può ancora accadere.

Tornando al provvedimento: nel merito, a quali condizioni non si attribuiranno alla magistratura quei maggiori poteri di cui lei parla?

E’ necessario che, per lo meno, si introduca l’incandidabilità esclusivamente per le sentenze passate in giudicato.

 

(Paolo Nessi)