Il web, si sa, è impietoso e fulmineo. E così ha già coniato la definizione, quella del “Cicciobellum”, destinato a succedere al “Porcellum”. Sembra piuttosto difficile però che alle urne il prossimo aprile si possa andare con un sistema che abbia come cuore la norma proposta da Francesco Rutelli (spregiativamente soprannominato “Cicciobello” sin dagli albori della sua carriera politica). C’è almeno un grande partito che non può permetterselo, e lo ha detto chiaro, cioè il Pd. E che ora si trova tra le mani il cerino dell’intricata matassa elettorale.



In una giornata convulsa, che si era aperta con l’eco delle parole di Mario Monti, che dal lontano Laos sembrava non escludere un intervento per decreto del governo, il fattaccio avviene durante la discussione in commissione in Senato. Tutti contro i democratici – Pdl, Lega, Udc ed Api, uniti nell’approvare un emendamento dell’ex sindaco di Roma che fa scattare il premio di maggioranza del 12,5 per cento dei seggi solo al raggiungimento del 42,5 per cento dei voti.



Soglia altissima, troppo alta, come subito fa presente un esperto di sistemi elettorali come il professor Roberto D’Alimonte. Soglia impensabile nello scenario politico di oggi persino per la coalizione data per superfavorita, e cioè quella fra Pd e Sel, che farebbero festa se riuscissero a raggiungere il 35 per cento. Il “Ciccobellum”, insomma, come anticamera del Monti bis.

Da qui l’immediato stop di Bersani, che in aula al Senato o, più probabilmente, alla Camera (dove i numeri sono più favorevoli al Pd) potrebbe far definitivamente saltare la riforma della legge elettorale, anche se si dovrebbe addossare la colpa della rottura. “Qualcuno – ha infatti subito sibilato il segretario democratico – ha paura che governiamo noi”. 



Il naufragio della riforma è l’ipotesi oggi più probabile, a meno di colpi di scena, ai limiti del miracolo. Del resto a destra questo sospetto lo avevano da tempo, perché alla fine solo il “Porcellum” di calderoliana memoria può garantire alla sinistra una maggioranza stabile (almeno alla Camera), non prevedendo una soglia minima oltre la quale scatta il premio di maggioranza. Era stato pensato per coalizioni che tendevano alla maggioranza assoluta. Ma adesso tutto è cambiato.

L’assenza di una soglia è però il punto debole della legge votata nel 2005. La Corte Costituzionale lo ha detto chiaro: senza una soglia minima la distorsione del risultato può essere eccessiva e portare al 55 per cento dei seggi con il 30 per cento o poco più dei voti. Del resto, anche le pressioni del Quirinale per la riforma elettorale sono andate gradatamente concentrandosi solo su questo punto, mettendo in secondo piano altre questioni, come le liste bloccate ed il ritorno alle preferenze, pure approvato in commissione al Senato dalla stessa maggioranza trasversale che ha detto sì al “Cicciobellum”, ma che potrebbe saltare dopo i dubbi espressi da Silvio Berlusconi. 

Ma in commissione al Senato è successo qualcosa di inatteso. Nei corridoi di Palazzo Madama si vociferava di una soglia al 40 per cento per il premio di maggioranza. Una soglia al di sotto della quale sarebbe scattato solo un premio di governabilità fra il 7 ed il 10 per cento per il primo partito (non alla coalizione). All’improvviso è scattato il “tutti contro il Pd”, e al Quirinale si è accesa la spia dell’allarme rosso.

A Giorgio Napolitano risulta ben chiaro che solo una soluzione di compromesso accettata dal Pd porterebbe al varo di una riforma della legge elettorale vigente. Quindi è probabile che in queste ore si intensificherà la diplomazia sotterranea presso i partiti, anche perché per trattare il tempo sta per scadere. E dalle parti del Colle è trapelata anche qualche perplessità rispetto alle parole di Monti su quell’intervento del governo definito “tecnicamente immaginabile”, anche se “politicamente sarebbe preferibile lo facessero le forze politiche”. 

Più volte i collaboratori di Napolitano hanno fatto presente che un decreto legge in materia elettorale è un’eventualità da scartare, perché sarebbe difficile dimostrare che si tratti di un caso straordinario di necessità e d’urgenza, come stabilito dall’articolo 77 della Costituzione. E allora le parole di Monti dal Laos possono essere lette al più come la disponibilità – se richiesti – del governo dei tecnici a tentare una mediazione tra le parti. Sotto la regia del sempre più impaziente Capo dello Stato, che potrebbe nei prossimi giorni tornare a fare sentire la sua voce su questo per mettere i partiti alle strette.