Da sinistra lo giudicano un biasimevole atto d’imperio; al punto da spingere la Finocchiario, presidente dei senatori piddini, a sancire la «rottura del dialogo». A ben vedere, con il voto in commissione Affari costituzionali, il Pdl (ma anche l’Udc, la Lega, l’Api e l’Mpa) ha semplicemente rotto al Pd le uova nel paniere. Si sa che il partito di Bersani sarà quello che prenderà più voti. Ma, se per ottenere il premio di maggioranza (fissato al 12,5%), la coalizione di cui fa parte dovrà guadagnarsi almeno il 42,5% dei consensi (sempre che il provvedimento approvato in commissione diventi legge), la strada verso Palazzo Chigi è tutt’altro che spianata. Ironia della sorte, Monti, poche ore prima, ricordando che, volendo, il governo ha facoltà di intervenire, aveva inviato caldamente i partiti a darsi una mossa sulla legge elettorale. E’ stato accontentato. Gaetano Quagliarello, senatore del Pdl e responsabile delle riforme del suo partito, ci fornisce la sua lettura dei fatti.
Tanto per cominciare, come valuta le affermazioni del premier?
Mi sembra una semplice operazione di moral suasion. Difficilmente potrebbe realmente intervenire.
Crede?
Il governo, al limite, può fare delle proposte; se si spingesse oltre, si verificherebbe una situazione, dal punto di vista giuridico-costituzionale, ai limiti del consentito.
Monti si è anche rammaricato del fatto che, ad oggi, gli inviti di Napolitano ancora non sono stati recepiti dai partiti, ovvero non si è ancora varata una riforma.
Beh, non è questione da affrontare superficialmente. Tuttavia, la vera notizia è che finalmente, con il voto di ieri, la situazione si è smossa.
Può spiegarci la ratio del provvedimento?
Abbiamo deciso di assumerci una grande responsabilità senza, tuttavia, chiudere la porta in faccia a nessuno. Il provvedimento cui abbiamo dato il via libera contempera due esigenze: la stabilità del governo e la rappresentatività.
Eppure, il Pd vi rinfaccia l’intenzione di rendere impossibile il raggiungimento della soglia necessaria per raggiungere il premio.
Tanto per cominciare, ricordiamo che il premio ha lo scopo di portare la coalizione vincente al 55% dei consensi in modo tale da garantirgli una certa solidità. Per questo si conferisce il 12,5%, che è un premio piuttosto alto. Ma se, contestualmente, non lo fosse anche la soglia, lasciare l’entità del premio così elevata determinerebbe il rischio dell’ingovernabilità.
Ci spieghi meglio.
Poniamo il caso che la coalizione elettorale Pd-Sel, pur vincendo le elezioni, non riesca a raggiungere una maggioranza politica. A quel punto, il governo si costituirebbe in Parlamento. E, siccome Bersani non potrebbe fare altro che allearsi con i centristi, si produrrebbe un bizzarro paradosso: Sel, con ogni probabilità, andrebbe all’opposizione. Ma godendo del surplus di seggi attribuitigli dal premio. Per il Pd, infatti, tale premio andrebbe conferito a prescindere dal raggiungimento di una determinata soglia; i partiti di centro, invece, si ritroverebbero a far parte dell’esecutivo, ma privati di svariati seggi, sottrattigli dal quel premio di maggioranza che li avrebbe, nel frattempo, attribuiti a Sel. Rischieremmo, quindi, di trovarci con un’opposizione in grado di mettere il governo in ginocchio quando gli pare e piace.
Sta di fatto che il 42,5% è una soglia pressoché irraggiungibile.
Questo è lo stessa obiezione avanzata dai fascisti nel ’23, quando ci fu la discussione sulla legge Acerbo; andò a finire che si introdusse una soglia del 25%… in ogni caso, se il Pd afferma che il 42,5% difficilmente si può raggiungere, si può discutere sul 40%. Ma non sull’opportunità di inserire una soglia elevata.
Ora che la Finocchiaro ha detto stop al dialogo, come vi muoverete?
Noi terremo la porta aperta al dialogo fino alla fine. In commissione, prima del voto, ci sono ancora i margini per trovare un accordo.
L’ipotesi di un’assemblea costituente proposta a suo tempo da Pera e rilanciata da Berlusconi è praticabile?
Ce ne sarebbe bisogno, ma temo che non ci sia più tempo.
(Paolo Nessi)