Non l’ha presa bene, il Pd. Il blitz del Pdl in Senato, in commissione Affari costituzionali (soglia del 42,5% per ottenere un premio di maggioranza pari al 12,5%) è stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. La capogruppo a Palazzo Madama, Anna Finocchiaro, ha ufficializzato la fine del dialogo: «i lavori della commissione con questo voto sono compromessi. Il Pd proporrà dunque un emendamento per l’Aula con una soglia al 40% e un premio del 15, mentre se nessuno dovesse raggiungere il 40% ci sarebbe l’attribuzione di un premio di aggregazione al primo partito del 10%». Poche ore prima, Mario Monti aveva fatto sapere che, benché dovrebbero essere le forze politiche ad occuparsene, pure il governo, tecnicamente, dispone della facoltà di intervenire sulla legge elettorale. Era una minaccia? Lo abbiamo chiesto a Luciano Violante, responsabile per le riforme del Pd.



Come vanno interpretate le affermazioni di Monti?

Il premier, come sua abitudine, ha espresso con chiarezza quello che pensa: è convinto che una legge elettorale vada fatta, invita i partiti a muoversi in tal senso e afferma che, tecnicamente, un intervento del governo sarebbe possibile. Tuttavia, ha lasciato intende che non ha alcuna intenzione di farlo. 



Il “tecnicamente possibile” cosa significa?

Non ci sono ostacoli formali ad un intervento del governo su questa materia. Ma non è pensabile che la riforma si faccia attraverso un decreto legge. Tuttavia, se realmente fosse l’esecutivo a varare una legge elettorale – cosa che ritengo del tutto improbabile – assisteremmo alla sanzione dell‘incapacità dei partiti di svolgere una funzione all’interno del sistema costituzionale italiano. Non dimentichiamo, in ogni caso, che anche in questa fase la politica è tutt’altro che defilata: tutti i provvedimenti del governo, infatti, sono stati vagliati, approvati – in certi casi con profonde correzioni – o respinti dal Parlamento; il quale sta cercando faticosamente di continuare a svolgere il proprio dovere.



Ma se alla fine la politica non riuscisse a produrre una legge, che scenario di prefigurerebbe?

Ci troveremmo di fronte alla definitiva rottura tra i partiti e la società italiana. Sta di fatto che vorrei invitare chi osserva questi fenomeni a non mettere tutti sullo stesso piano. C’è chi sta lavorando per l’approvazione di una legge equa e chi per far saltare il banco.

A chi si riferisce?

L’ostacolo principale al varo di una riforma è rappresentato dal Pdl, che attraversa una grave crisi politica e detiene pur sempre il maggior numero di parlamentari.

Perché definisce il Pdl un ostacolo?

Basti pensare alla norma approvata ieri in commissione Affari costituzionali del Senato: una soglia del 42,5% per attribuire un premio di maggioranza del 12,5% è pressoché irraggiungibile. Determinerebbe, di fatto, una situazione di ingovernabilità. Con tutti gli effetti che ne deriverebbero quale, ad esempio, l’impennarsi degli spread.

Lei, su queste pagine, affermò che il Pdl «mira a far parte della maggioranza di  governo, anche se perdesse le elezioni».

Esatto. Ma in nessun Paese del mondo chi non vince, poi, governa. Sia ben chiaro, sarebbe altrettanto sbagliato favorire indiscriminatamente il vincitore. Tuttavia, una soglia così alta non esiste da nessuna parte. Sarebbe quindi, sufficiente, introdurre un valore minimo volto all’equità.

A quanto dovrebbe ammontare?

A non oltre il 40%. 

La capogruppo in Senato del Pd, Anna Finocchiaro, ha fatto sapere che il “blitz” del Pdl interrompe la strada del dialogo. E’ così?

Non c’è alternativa. A questo punto, non ci sarà più alcuna intesa. Ciascuno andrà in Aula, con le proprie proposte, poi si voterà.

Trova praticabile, invece, l’ipotesi di una costituente avanzata da Marcello Pera e rilanciata da Berlusconi?

Non ci possono essere due poteri costituenti – il Parlamento e l’Assemblea – dotati dei medesimi poteri e della facoltà di annullare ciascuno i provvedimenti dell’altro. Sarebbe il caos.

 

(Paolo Nessi

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