La consequenzialità degli eventi ha il sapore della beffa. Ieri, in mattinata, il premier Monti ha detto che un intervento del governo per cambiare la legge elettorale è tecnicamente possibile. Tuttavia, ha aggiunto che sarebbe auspicabile che se ne occupino i partiti. Nel primo pomeriggio, la commissione Affari costituzionali del Senato ha approvato una riforma. Che, come unico effetto, ha prodotto la fine di qualsivoglia trattativa tra le forze maggiori. Pdl, Lega, Udc, Api e Mpa hanno votato una norma che prevede l’attribuzione del premio di maggioranza del 12,5% esclusivamente alla coalizione che superi la soglia del 42,5%. Il Pd sa che ha molte chance di vittoria ma che nessuno potrà mai raggiungere simili percentuali. Abbiamo fatto il punto sulla situazione con Marcello Sorgi.
Crede che realmente il governo potrebbe prendersi in carico la riforma elettorale?
Un precedente esiste: il governo Ciampi ne propose una. Poi, il Parlamento preferì adottare il Mattarellum. Sta di fatto che l’esecutivo, di natura tecnica, insediatosi dopo il referendum sulla legge elettorale, avanzò una propria ipotesi. Non si tratterebbe, quindi, di un colpo di mano. Al di là del fatto che potrebbe essere considerato un gesto politicamente non opportuno.
Quindi? E’ verosimile che Monti intervenga sulla riforma?
Non credo. Il suo operato mi pare, semplicemente, in linea con quello del presidente della Repubblica. Muovendosi in tandem, ritengono di rappresentare uno stimolo maggiore per convincere finalmente i partiti a varare la legge.
Le forze politiche recepiranno l’invito?
Al momento, non ne sarei tanto sicuro…
Tanto più che il voto della commissione Affari costituzionali ha sancito, come ha detto la Finocchiaro, la «fine del dialogo».
Il Pd, effettivamente, non ha tutti i torti a lamentarsi. Non si capisce perché sia legittimo rendere di fatto impossibile l’attribuzione di un premio di cui si avvalse lo stesso Berlusconi e che, in queste elezioni, sarebbe ottenuto, con ogni probabilità, proprio dai democratici. E’ pur vero che una soglia di attribuzione debba essere fissata. Onde evitare il ripetersi di casi analoghi a quello siciliano. Dove ha votato solo il 47,42% degli aventi diritto e, tra questi, Crocetta ha preso il 30,48%. Su scala nazionale, significherebbe che il 15% degli elettori dispone del 55% dei seggi. Questo, ovviamente, non sarebbe accettabile in una democrazia. Specialmente se il prossimo governo in carica dovrà attuare politiche di rigore e imporre sacrifici senza la maggioranza vera degli elettori.
Quantomeno, avrebbe a disposizione gli strumenti per governare senza timore di ribaltoni.
Non direi. E’ vero il contrario. In questa particolare situazione, infatti, si determinerebbe, alle ali estreme, un’opposizione tale da rendere la prosecuzione serena della legislatura impossibile. Un premio troppo alto, quindi, genera l’effetto contrario alle intenzioni, dando luogo all’ingovernabilità. Va da sé che una soglia così alta come quella prevista dalla commissione Affari costituzionali sortirebbe effetti analoghi.
Quali, in particolare?
La soglia al 42,5% ci riporterebbe alla prima Repubblica. Rendendo di fatto impossibile raggiungere l’attribuzione del premio, ciascun partito correrebbe per conto proprio per poi accordarsi all’indomani delle elezioni. Tuttavia, anche laddove questa legge venisse approvata in Senato con una maggioranza larghissima, si tratterebbe semplicemente di un segnale politico. Come il semipresidenzialismo, la cui approvazione al Senato si concluse con un nulla di fatto.
Cosa intende?
Alla Camera, la volontà dei leader politici è superata da quella dei deputati nominati che, non essendo mai stati eletti, preferiscono che tutto resti invariato; e che si mantenga, quindi, il Porcellum. A Palazzo Chigi esiste questo partito trasversale che, grazie al voto segreto – non previsto al Senato – vincerà, bocciando qualsiasi riforma.
Monti e Napolitano sono consapevoli di questa situazione?
Indubbiamente. L’invito del premier, al di là del voto in commissione, successivo alle sue dichiarazioni, va interpretato proprio come la consapevolezza dello stallo e della volontà di tentare una mediazione. Credo, francamente, con limitate probabilità di successo.
(Paolo Nessi)