Il decreto-legge n. 188 del 2012 con il quale il Governo ha inteso proseguire nel percorso di riscrittura delle Province e delle Città metropolitane, solleva dubbi di costituzionalità piuttosto consistenti.
In primo luogo, quale sarebbe mai il presupposto costituzionale di straordinaria necessità e urgenza che giustificherebbe un siffatto provvedimento che dispone la soppressione di un certo numero di Province non dal momento dell’entrata in vigore del decreto-legge medesimo, ma a decorrere dal 1° gennaio del 2014? Anche a prima vista, qualcosa non torna. In altri termini, se davvero si fosse in presenza di una situazione eccezionale che imporrebbe di disporre in via immediata la ridefinizione delle Province esistenti, allora le Province “inutili” sarebbero dovute essere immediatamente soppresse o riaccorpate. Se così non è, vuol dire che questo decreto legge è uno strumento impiegato per scopi altri e diversi da quelli costituzionalmente previsti.
In secondo luogo, quali sarebbero le ragioni di un intervento straordinario mediante decreto-legge? Nelle premesse del provvedimento si utilizza una formulazione alquanto ellettica. Si fa riferimento, innanzitutto, alla “straordinaria e urgenza necessità” di dare attuazione a “quanto prefigurato” da due precedenti disposizioni legislative (l’art.23, c. 15, del d.l. n. 201 del 2011, e l’art. 17 del d.l. n. 95 del 2012) “in ordine al nuovo ordinamento provinciale”. Insomma, si vorrebbe far credere che l’attuazione del “nuovo ordinamento” delle province e delle Città metropolitane come “prefigurato” da due norme legislative vigenti, sarebbe di per sé una causa straordinaria di necessità e urgenza. In verità, leggendo gli atti legislativi citati, è ben difficile scorgere la richiesta di un intervento legislativo immediato.
Dunque, su cosa riposerebbe la presunta “straordinaria necessità e urgenza”? Sempre nella predetta formula giustificatoria si dice che si intende agire “ai fini del contenimento della spesa pubblica”. Ma non vi è chi non veda che tale prospettiva è meramente ipotetica e comunque di ben scarso rilievo nell’immediato. Nessuno, né tanto meno lo stesso governo nella relazione tecnica che accompagna il provvedimento, è al momento in grado di dire quale sarà l’effettivo contenimento delle spese che deriveranno dal cosiddetto riordino delle Province che viene disposto con queste modalità “straordinarie”. E’ragionevole, anzi, prevedere che il procedimento di accorpamento produrrà, nel breve e medio termine, costi finanziari di una qualche consistenza, oltre che gravosi oneri amministrativi che saranno – questi sì necessari – per ridefinire gli assetti burocratici delle Province accorpate, per modificare le procedure amministrative, per rideterminazione gli atti di programmazione e di spesa, e così via. Forse l’unico vero risparmio sarà nell’immediato quello relativo alle indennità dei componenti delle giunte delle Province, che però sarà parzialmente compensato dalle indennità che saranno godute dai consiglieri (non più di tre) che provvisoriamente li sostituiranno.
Per il resto, sempre nelle premesse del decreto-legge, si fa riferimento al “processo di razionalizzazione della pubblica amministrazione”. Qui davvero molto non torna. Che la rete degli enti territoriali di secondo livello si possa definire razionalizzata sulla base degli accorpamenti previsti in questo decreto-legge, è davvero una bella scommessa. La creazione di Regioni mono-Provincia, ad esempio, è ben poco giustificabile in termini di razionalizzazione delle attività amministrative: perché si devono avere due enti esattamente sovrapposti dal punto di vista territoriale e che svolgono funzioni amministrative distinte e per di più per molti aspetti collegate? Ancora, si assiste alla creazione di Città metropolitane che sono improntate a logiche diverse: cosa accomunerebbe l’immensa Città metropolitana di Roma – che finirebbe per abbracciare località del tutto estranee all’area vasta che è ormai strutturalmente collegata con la Capitale – con altre Città metropolitane che invece appaiono coerenti con ambiti territoriali assai più omogenei? Detto più semplicemente, non si vede quale razionalizzazione possa scaturire da un processo di riscrittura dei confini provinciali che si sia basato praticamente soltanto sul meccanico accorpamento delle Province preesistenti che non rispettano criteri puramente matematici e con il vincolo della contiguità territoriale all’interno dei confini regionali, senza nessuna specifica considerazione delle numerosi ragioni – ad esempio, di omogeneità geografica, di risorse economiche, di reti infrastrutturali, di collegamenti viari, e così via – che invece devono essere valutati quando si voglia delimitare, in modo compiutamente razionale, spazialmente l’ambito di azione di un ente territoriale di governo locale.
Per di più, se è noto che le Regioni attuali sono state definite ricorrendo a ripartizioni utilizzate per lo più a fini statistici e dunque in modo per lo più artificiale, è evidente che una rideterminazione delle Province rigidamente circoscritta all’interno degli attuali confini regionali, non può condurre di per sé a risultati “razionali”.
Infine, nelle medesime premesse del decreto-legge, si esplicita il “fine di ottemperare a quanto previsto dagli impegni assunti in sede europea, il cui rispetto è indispensabile, nell’attuale quadro di contenimento della spesa pubblica, per il conseguimento dei connessi obiettivi di stabilità e crescita”. Tali impegni, tuttavia, non dovrebbero essere stati sanciti in atti ufficiali di diritto europeo, giacché, se così fosse stato, nel decreto-legge certamente ve ne sarebbe stato cenno. Non sappiamo se ci si volesse riferire ad altra tipologia di impegni, assunti in via informale o delineati in atti non protocollari, ma certo una qualche maggiore chiarezza sarebbe stata indispensabile. Anche perché, come noto, la Corte costituzionale si è detta competente a valutare la correttezza delle premesse che sono alla base della decretazione d’urgenza, così come l’evidente mancanza dei presupposti di costituzionalità che li devono giustificare.
A tutto ciò, va aggiunto il dubbio di costituzionalità relativo al contenuto proprio di questo decreto-legge: può il Governo intervenire in siffatta materia mediante un atto normativo d’urgenza senza rispettare il procedimento prescritto dall’art. 133 Cost. proprio in tema di modifica delle Province esistenti e di istituzione di nuove Province? In altre parole, è possibile scavalcare con decreto-legge – e per di più basandosi su “requisiti” quantitativi che sono stati definiti interamente dal Governo medesimo con una deliberazione assunta nello scorso luglio, e dunque in violazione del principio di legalità – tutte quelle garanzie costituzionali che, proprio su questi temi, richiedono la necessaria iniziativa dei Comuni e il preventivo parere delle Regioni? Tra l’altro, è evidente che il decreto-legge in oggetto ha tenuto in ben scarsa considerazione le indicazioni provenienti dai CAL e che la quasi totalità dei Consigli regionali avevano recepito nelle “proposte di riordino” che sono state presentate ai sensi dell’art. 17 del precedente d.l. n. 95 del 2012. Ben diversamente, invece, nell’art. 17, come 4, si prescrive chiaramente che “l’atto legislativo di iniziativa governativa” – che si è tradotto in questo decreto-legge – deve essere adottato “sulla base” delle proposte regionali.
Anche su tali profili la Corte costituzionale a breve dovrà pronunciarsi, decidendo sui ricorsi presentati da alcune Regioni. Non soltanto ad avviso di chi scrive, la tesi favorevole all’intervento governativo, che si fonda su un presunto silenzio della Costituzione in tema di “riordino” delle Province, non può essere accolta. E ciò soprattutto perché il cosiddetto riordino delle Province – come risulta chiaramente proprio da questo decreto-legge – condurrà esattamente agli stessi esiti che sono disciplinati dall’art. 133 Cost., cioè la modifica dei confini delle circoscrizioni provinciali esistenti e la creazione di nuove Province. Il cosiddetto “assorbimento” previsto in questo decreto-legge non è altro che la creazione di nuove Province. Restando in attesa della pronuncia della Corte, dunque, si può solo auspicare che in sede di conversione il Parlamento apporti le necessarie e indispensabili correzioni.