Ha voluto imprimere con forza il suo sigillo sulla crisi Mario Monti, decidendo di essere lui a scandirne i tempi, anche a costo di andare contro il percorso che aveva in testa il Capo dello Stato. Evidenti sono le discrepanze fra i due comunicati del Quirinale, quello di venerdì sera, al termine delle consultazioni con i partiti della maggioranza, che parlava di “un percorso costruttivo e corretto sul piano istituzionale, nell’interesse del Paese e della sua immagine internazionale”, e quello di sabato sera, che riferiva dell’incontro con Monti.
Un incontro molto lungo, in cui forse Napolitano ha cercato di convincere il premier a non irrigidirsi, ma invano. Il secondo comunicato del Colle, infatti, è di tono strettamente notarile, e riferisce – quasi con tono da cronista – le idee espresse da Monti. “Il Presidente del Consiglio – si legge – ha dal canto suo rilevato che la successiva dichiarazione resa ieri in Parlamento dal Segretario del Pdl on. Angelino Alfano costituisce, nella sostanza, un giudizio di categorica sfiducia nei confronti del Governo e della sua linea di azione”.
Ecco, in questo distacco sta una divaricazione che potrebbe rivelarsi foriera di problemi inattesi nelle prossime settimane. Il premier intende addossare per intero al Pdl la colpa della rottura, e non intende rimanere a farsi cuocere a fuoco lento. Per farlo, però, sceglie un terreno scivoloso, quello del varo della legge di stabilità. Monti mette in dubbio che il partito di Berlusconi la voglia approvare, fingendo di ignorare che Alfano venerdì alla Camera era stato nettissimo su questo dicendo che “votare la sfiducia avrebbe causato forse l’abisso dell’esercizio provvisorio, ma noi vogliamo concludere ordinatamente la legislatura e non vogliamo mandare il nostro Paese a scatafascio”.
Mettere in dubbio parole tanto chiare, pronunciate in una sede formale come il Parlamento, equivale a una dichiarazione di guerra. A Berlusconi e a tutto il Pdl. E l’aver fatto trapelare uno studio che ipotizza il caos istituzionale se il decreto taglia provincie non sarà approvato è solo un assaggio del braccio di ferro che segnerà i prossimi giorni. Monti sembra voler far pagare caro al suo predecessore l’essere stato abbandonato, e si prepara a dire liberamente come la pensa.
Per Monti la prima occasione per parlare liberamente sarà il 21 dicembre, la conferenza stampa di fine anno in diretta televisiva, un’occasione nella quale non potrà sottrarsi alla domanda se intenda candidarsi o meno a proseguire l’opera del suo governo. Da qui a quella data crescerà intorno a lui il pressing di quei centristi che hanno applaudito il suo “non ci sto”. Quell’area che cerca di raggrupparsi sotto le insegne della “Lista per l’Italia” ha bisogno di un leader vero per riuscire a coagularsi, mentre sin qui fra Casini, Fini e Montezemolo sono troppi i galli a cantare e i sondaggi segnano nelle ultime settimane una contrazione evidente del possibile risalato elettorale.
Prima di quella data, però toccherà a Napolitano dire la sua. “Parlerò fra otto giorni”, ha fatto sapere domenica, “nell’incontro con le alte cariche dello Stato”. Sino ad allora il Capo dello Stato sembra chiamarsi fuori dalla mischia, lasciando che sia Monti a condurre le danze.
Ma la possibile discesa in campo di Monti preoccupa tanto i democratici, che si sentirebbe schiacciati a sinistra da una lista guidata dal premier, sia i colonnelli del Pdl. Al contrario, Silvio Berlusconi sembra non preoccuparsi troppo: lui nelle battaglie solitarie, nell’uno contro tutti, è solito dare il meglio di sé (o il peggio, dipende dai punti di vista).
Certo l’annuncio che sarà ancora una volta il Cavaliere a guidare il centrodestra ha prodotto una serie di risultati a catena: le dimissioni di Monti, l’anticipo delle elezioni (forse al 10 febbraio) e il quasi accordo con la Lega, cui proprio ieri sera il Pdl ha offerto la candidatura in Lombardia in cambio di un’intesa sul piano nazionale.
Adesso anche nel Pdl la scelta è fra ci chi sta e chi no. Il Cavaliere guiderà per la sesta volta i suoi in battaglia. Le possibilità di vincere sono praticamente nulle, ma in una campagna elettorale fortemente polarizzata sarà ancora una volta lui a dettare l’agenda, e probabilmente questo gli consentirà di recuperare consensi. Quanti è tutto da verificare.