I toni convulsi della campagna elettorale italiana si colgono già nei dibattiti televisivi, nelle dichiarazioni dei protagonisti della politica, nei titoli dei quotidiani stranieri sull’Italia, nelle stesse dichiarazioni che vengono dalla Germania e dal Partito popolare europeo contro il ritorno in campo di Berlusconi. Ieri ci sono state delle dichiarazioni di Mario Monti, sull’operato del suo governo e su quello del suo predecessore, che hanno subito fatto scattare la reazione del Cavaliere. Questo è il nodo principale delle questioni sul tappeto. Ma intorno a questo problema si accavallano altri problemi. Nel centrosinistra, Nichi Vendola ribadisce che, se il Pd guarda a un’alleanza con il l’Udc di Pier Ferdinando Casini, il suo movimento, Sel, si sfila, non c’è più nella ipotetica maggioranza di centrosinistra. Infine c’è un’autentica rissa all’interno di quello che è definito dai sondaggi il “secondo partito italiano”, il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, dove si alternano espulsioni, accuse e poco cordiali “vaffa”. Per definire questa situazione un telegiornale ha titolato “Tutti contro tutti”, che è una fotografia impietosa e poco rassicurante, ma soprattutto è l’esatto contrario di quello di cui ha bisogno l’Italia in questo momento. Alessandro Chiaramonte è un docente associato che insegna all’Università di Firenze, nella Facoltà di Scienze politiche, “Partiti politici e gruppi di pressione”. E’ un ricercatore da tempo impegnato nello studio di vari aspetti della politica italiana. Si sta occupando della trasformazione dei sistemi partitici.
Professor Chiaramonte, in questo momento lo scacchiere politico italiano sembra troppo complicato ai fini della costituzione di un governo dopo il risultato delle elezioni. Almeno stando ai sondaggi. Si può ipotizzare un rassemblement di centro, con il valore aggiunto della presenza di Mario Monti?
Io credo che Monti costituisca indubbiamente un valore aggiunto, proprio per il profilo differente che ha. Ma i dati a disposizione, al momento sono difficili da valutare. Al centro ci sono attualmente Casini, Fini, non si sa ancora se ci sarà Luca Cordero di Montezemolo, che subordina la sua partecipazione alla presenza dello stesso Monti. Sarei molto cauto nel valutare i primi sondaggi che sono usciti. E’ possibile fare solo una valutazione approssimativa di questo rassemblement: potrebbe raggiungere un 20 per cento.
Il nodo cruciale di queste elezioni sembra la vasta area dell’astensionismo, della disillusione nei confronti della politica, della mancanza di partecipazione. Il problema è come riportare questa vasta parte dell’elettorato al voto.
Questo è un dato, al momento, abbastanza consolidato. Si può considerare un’area del 35 per cento che dichiara di non andare a votare, un’altra parte di elettorato fortemente indecisa, che porta a più del 50 per cento. Si può ritenere che questa percentuale calerà al momento del voto, ma si può altrettanto pensare che questa volta si batterà il record dell’astensionismo.
Che cosa teme di più un osservatore come lei da questo dibattito pre-elettorale?
Un affermarsi concitato di toni populistici, per usare il linguaggio schematico giornalistico. Quindi l’uso spregiudicato della crisi economica e politica, i toni anti-europeistici trattati con molta sbrigatività. Non è un caso che Berlusconi stia di nuovo guardando all’alleanza con la Lega Nord, anche se vedo che trova molta freddezza.
Il problema a questo punto è se esiste la possibilità della formazione di un governo?
Molto dipenderà dalla situazione al Senato. Alla Camera, una maggioranza uscirà. Al Senato il problema è più complicato, per il peso delle tre Regioni (Veneto, Lombardia, Sicilia). Credo che la partita si giochi soprattutto in Lombardia. E’ anche per questo che Berlusconi sta concentrando il suo sforzo in Lombardia.
Ma questi sono gli aspetti tecnici. Poi ci sono quelli politici.
Occorre vedere la reale consistenza del centro e l’eventuale valore aggiunto che può conferirgli Monti se scioglie il suo dilemma di schierarsi o non schierarsi. Poi occorrerà vedere se Pier Luigi Bersani si dividerà dalla Sel. In questo caso ci potrebbe essere una coalizione di unità nazionale. Ma c’è pure la possibilità di una grande coalizione, ancora più allargata, con Berlusconi che prende un numero sufficiente di voti per arrivare a una grande coalizione. Credo che sia quello a cui in questo momento lui punta.
Proviamo a guardare nella pancia di questa società italiana. Ci sono poteri, quelli che un tempo si chiamavano “poteri forti”, che possono condizionare, meglio dire indirizzare, premere sul corso della politica italiana?
Non direi proprio. Un tempo si poteva parlare di “partito Fiat”, magari delle scelte di Mediobanca. Ma in questo caso mi viene in mente un termine usato da Giuseppe De Rita: “spappolamento”. Provi a farsi una domanda su quali sono ormai le istituzioni credibili in Italia. Si può parlare della Banca d’Italia, della Corte costituzionale. Ma tutto il resto è stato veramente fagocitato dalla politica, da una cattiva politica. In tutti questi anni non si è vista una personalità veramente indipendente, un gruppo. che potesse indicare strade differenti, che potesse fornire indicazioni nel vero interesse del Paese.
Questo ci espone anche ai poteri esteri?
Ma sopratutto per colpa nostra.
Che cosa paga l’Italia rispetto ad altri Paesi dopo questi anni?
Io pensavo che si arrivasse veramente al bipolarismo. Noi stiamo invece vivendo il fallimento del rinnovo istituzionale. Bisognava riguardare l’architettura istituzionale dello Stato e questo è un appuntamento mancato.
A suo parere occorrerebbe rivitalizzare i partiti?
Non credo che sia questa la strada. Occorre trovare nuove forme di partecipazione pubblica, occorre trovare canali paralleli a quelli dei partiti. Si può osservare che sviluppando l’associazionismo, a qualsiasi livello, lei trova subito una maggiore partecipazione alla vita pubblica. Quelli che partecipano a questa vita sociale sono poi quelli che più si interessano, che
vanno a votare.
(Gianluigi Da Rold)