La battuta è di un ex parlamentare leghista veneto, che pure è tra i sostenitori convinti del Carroccio in versione 2.0: “C’è uno slalomista emergente, tra gli azzurri dello sci, Bobo Maroni”. Messa in circolazione subito dopo l’apertura del segretario su una candidatura Alfano, la battuta riflette con grande chiarezza gli umori della base veneta del partito nei confronti delle scelte in vista delle ormai prossime elezioni; un atteggiamento condiviso del resto da larghe porzioni del “popolo padano”, come testimoniano blog, lettere, telefonate in radio e ogni altro sfogatoio. La volontà diffusa è netta: andare da soli, senza alcuna alleanza con il Pdl, che a guidarlo sia Berlusconi o chiunque altro. E Maroni lo sa benissimo; ma allora, perché si avventura in questi rilanci? Come può pensare di arrivare fino in fondo senza uscire di pista, in uno slalom in cui tenta di portare a casa contemporaneamente la propria candidatura alle regionali lombarde e un accordo nazionale con l’ex alleato?



Una parola chiara al riguardo uscirà verosimilmente oggi, dal consiglio federale del Carroccio. Ma alcune ipotesi si possono già mettere in campo. La prima è che il segretario tenti di garantire comunque al partito un ruolo nella politica nazionale: cosa che potrebbe essere possibile se, tramite l’alleanza con il Pdl, garantisse al centrodestra la vittoria in Lombardia e Veneto; considerando che in Sicilia lo schieramento potrebbe farcela comunque, a quel punto al Senato il centrosinistra rischierebbe fortissimamente di finire in minoranza, e i giochi si riaprirebbero. Tanto più se la Lega, correndo da sola, non riuscisse a superare la soglia di sbarramento prevista per il Senato (8 per cento) e addirittura per la Camera (4 per cento: cosa quest’ultima che già le capitò nel 2001). E in ogni caso, anche entrando in Parlamento, un Carroccio solitario non sarebbe più il paladino pressoché solitario della guerra a Monti e al montismo, come oggi gli capita: dovrebbe condividere il ruolo con forze più consistenti, dai grillini ai berluscones, ma anche con altre come i dipietristi.



In ogni caso, a Maroni sta fortemente a cuore il successo nelle regionali lombarde, che si terranno contestualmente alle politiche: poter contare sul governo delle tre principali regioni del nord gli garantirebbe comunque un ruolo di primo piano, e la possibilità di pesare sulla scena anche nazionale, specie se la vita della nuova legislatura dovesse rivelarsi breve, e si dovesse tornare a votare nel giro di uno-due anni, magari in abbinata con le regionali 2015.

Ma farcela da soli in Lombardia è ad alto rischio: perché candidature come quelle di Ambrosoli per il Pd, e di Albertini per i dissidenti Pdl, sono tali da assorbire consensi rilevanti; viceversa, un patto con il Pdl ortodosso farebbe crescere notevolmente le chances leghiste. C’è peraltro un’ipotesi alternativa, nell’apertura ad Alfano: e cioè che per adesso Maroni stia facendo solo tattica, in attesa di capire cosa farà Monti (una discesa in campo del Professore scompaginerebbe l’intera area moderata, e rischierebbe di avere ripercussioni anche su quella riformista). Così persegue un obiettivo alla volta: e la priorità oggi è togliere di mezzo Berlusconi, dopo aver eliminato l’altro anello della catena, Bossi.



E tuttavia, il segretario deve fare i conti con gli umori della sua base, a cominciare dall’azionista veneto, che non solo ha il peso maggiore nel partito in termini di consensi elettorali, ma che lo ha anche appoggiato nella sua scalata al vertice di via Bellerio. I due principali leader dell’ala veneta, il presidente della Regione Zaia e il sindaco di Verona Tosi (grande alleato di Bobo), hanno già ripetutamente e pubblicamente manifestato la loro opzione per la corsa in solitario. E nelle sezioni l’aria che tira è nettamente anti-Pdl: non viene digerito Berlusconi, ma non vanno giù neppure i troppi atteggiamenti disinvolti di tanti suoi seguaci, imitati anche da non pochi leghisti come si sta vedendo in queste ore in Lombardia con lo scandalo dei rimborsi in consiglio regionale; comportamenti che in Veneto sono pressoché assenti.

Ecco perché Maroni dovrà maneggiare con cura le scelte dei prossimi giorni. Non sono più i tempi in cui Re Bossi emanava i suoi editti e tutti si allineavano. Oggi il Carroccio nei sondaggi non va oltre un modesto 5 per cento. E tra chi l’ha fin qui votato, è alto il numero di coloro che sono pronti a fare di testa loro nel caso in cui le decisioni dall’alto non siano condivise. Da Grillo all’astensione, le alternative non mancano. E Maroni, a quel punto, si troverebbe socio di minoranza di una minoranza: come dire che la Lega 2.0 rischierebbe semplicemente di perdere il 2.