Tra le varie deroghe concesse ai “vecchi” del partito e coloro che invece possono contare su un significativo traino elettorale sul territorio, all’interno del Partito Democratico la “rottamazione” tanto acclamata a suo tempo da Matteo Renzi sembra ormai solo un lontano ricordo. Pur non conoscendo con certezza i nomi definitivi, in pochi si aspettano particolari sorprese da quella che sarà la composizione del cosiddetto “listino” di Pier Luigi Bersani, ovvero la quota (pari al 10%) delle candidature che potranno presentarsi alle politiche 2013 senza dover passare dalle primarie (in programma il 29-30 dicembre). Altro punto discusso in queste ore è la raccolta firme: tutti coloro che si candidano per la prima volta, infatti, dovranno raccogliere firme “pari al 5% degli iscritti su base provinciale o essere scelto nella rosa a disposizione delle direzioni provinciali riservata a personalità della società civile”. In sostanza, i candidati che vorranno presentarsi dovranno riuscire a raccogliere fino a 500 firme nei pochi giorni rimasti a disposizione. Bersani, ricordando l’importanza delle primarie per il Pd, rimanda al mittente ogni accusa: “Siamo gli unici a fare una cosa che non si è mai fatta né in Italia, né in Europa. Gradiremmo essere seguiti con un po’ di simpatia, visto che stiamo facendo democrazia. Si chiedesse agli altri cosa intendono fare, visto che il Parlamento è un’istituzione di tutti”. IlSussidiario.net ha chiesto un giudizio allo storico e politologo Agostino Giovagnoli.
Come giudica le primarie per i parlamentari del Pd?
Complessivamente, credo che lo sforzo dimostrato dal Partito Democratico sia comunque autentico. Quella delle primarie è una strategia che Bersani ha da tempo voluto mettere in atto, incontrando spesso notevoli resistenze anche dei suoi stessi collaboratori, ma è ormai chiaramente convinto che i partiti debbano trovare una via di mezzo tra gli apparati che garantiscono la continuità organizzativa e una mobilitazione il più possibile costante della società civile. In questo senso, quindi, non avrebbe senso mettere in piedi delle primarie “prefabbricate”, perché è evidente che attraverso un’iniziativa del genere si cerca di sopperire a ciò che ormai la propaganda elettorale non è più in grado di fare, cioè rappresentare un canale di coinvolgimento dei propri elettori il più possibile allargato.
La convincono anche le varie deroghe concesse?
Francamente non credo che quello della cosiddetta “rottamazione” sia un principio assoluto da dover inseguire a tutti i costi. A parte la sgradevolezza del termine, infatti, bisogna porsi il problema delle competenze e delle professionalità: se in Parlamento rimangono persone con capacità acquisite nel tempo, personalmente non vedo nulla di sbagliato. Anzi, a mio giudizio le deroghe rappresentano una necessità che dovrebbe probabilmente essere anche allargata. Un rinnovamento deve esserci, questo è certo, ma è altrettanto vero che bisogna garantire una continuità.
Alla riunione della Direzione nazionale di partito era presente anche Matteo Renzi che, pur avendo detto di volersi dedicare solo a Firenze, sembra comunque voler rimanere nei dintorni di Roma. Cosa ne pensa?
E’ molto probabile che Renzi voglia restare nei paraggi. Il sindaco di Firenze ha comunque ottenuto un successo rilevante scontrandosi come candidato alternativo a Bersani, quindi è una figura che senza dubbio avrà un ruolo di primo piano nel futuro del Partito Democratico.
In che modo?
Renzi ha la possibilità di mettere in discussione l’identità stessa del partito, anche se non nell’immediato. La sua presenza, in futuro, interrogherà il Pd su una possibile evoluzione modernizzante, meno legata alla tradizione socialdemocratica che invece è piuttosto rappresentata da Bersani. Sto però anche notando che Renzi, pur essendo di provenienza cattolica, ha ormai occupato un posto che prima era degli ex popolari, mentre è proprio la presenza dei cattolici ad essersi notevolmente appannata nel partito.
Si spieghi meglio.
Quello dei cattolici nel Pd sembra essere uno spazio che va via via restringendosi. Da una parte, per esempio, prima ancora delle primarie Pierluigi Castagnetti ha annunciato il suo ritiro motivandolo con il fallimento di una generazione. Questa autocritica, fatta in maniera talmente esplicita e onesta, mi ha colpito molto. A questa analisi si è poi aggiunto il fenomeno Renzi, molto efficace dal punto di vista mediatico, tutti segnali che portano a pensare che oggi il Pd si muova su una linea tra una tradizione socialdemocratica e una modernizzante neoliberista che non è immediatamente innervata dalla tradizione sociale dei cattolici che ha sempre rappresentato nel Pd una componente importante.
Alla luce di questa evoluzione in corso, cosa ritiene adesso importante per il Pd?
Credo sia importante che il partito non ceda alla tentazione di ritenersi autosufficiente, nonostante gli attuali sondaggi offrano una prospettiva di vittoria alle prossime elezioni. Anche un risultato positivo alle urne, infatti, non può e non deve bastare in una realtà complessa come quella italiana dove è quanto mai necessario rappresentare il più possibile le varie sensibilità. Questo, a mio giudizio, potrà essere possibile solo con eventuali collaborazioni, aperture e alleanze con altri soggetti, utili anche a uscire una volta per tutte dall’esperienza estremamente negativa di un bipolarismo selvaggio e una contrapposizione muscolare che hanno caratterizzato gli ultimi 20 anni di politica italiana.
(Claudio Perlini)