L’operazione “liste pulite” è ormai pronta a prendere il via. La legge anticorruzione (giunta tra i codici alla mezzanotte del 28 novembre) è entrata in vigore, ma ancora non arriva il decreto legislativo sull’incandidabilità. I tre titolari della delega, Anna Maria Cancellieri per l’Interno, Paola Severino per la Giustizia e Filippo Patroni Griffi per la Funzione pubblica avrebbero dovuto parlarne nel Consiglio dei ministri di venerdì, ma poi non se n’è fatto nulla: il testo doveva prevedere l’esclusione dal Parlamento di tutti i condannati definitivi per reati gravissimi, quali mafia e terrorismo, corruzione e concussione, ma anche per tutti gli altri reati con una pena dai quattro anni in su per cui è prevista quindi la custodia cautelare. Resterebbero invece candidabili i condannati in primo e secondo grado: solo con la colpevolezza stabilita al terzo grado di giudizio si dovrà obbligatoriamente lasciare la poltrona. IlSussidiario.net ha chiesto un commento a Carlo Federico Grosso, avvocato penalista, professore ordinario di Diritto penale presso l’Università di Torino, già vicepresidente del Csm.
Professore, cosa pensa del decreto incandidabilità?
Introdurre l’incandidabilità dei condannati nel nostro ordinamento giuridico costituirebbe senza dubbio una importantissima novità, un’innovazione legislativa che andrebbe incontro anche a quanto la gente desidera e pretende da tempo. Detto questo, bisogna poi vedere in concreto quali sono i limiti di questo decreto.
Per esempio?
Se le misure stabilite fino ad ora sono così evanescenti da consentire a tutti coloro che hanno ricevuto condanne penali in primo e secondo grado di presentarsi tranquillamente alle elezioni, è evidente che il principio viene molto stemperato. Capisco la presunzione di non colpevolezza ma credo che occorrerebbe anticipare tale sanzione alle condanne di primo grado, al massimo di secondo. Credo inoltre che si potrebbe anche suggerire un’altra cosa.
Quale?
Anche nei casi in cui l’incandidabilità non potesse essere applicata per condanne non ancora definitive, potrebbero essere gli stessi partiti ad autoregolamentarsi per non candidare coloro che hanno ricevuto tali condanne. Ho però l’impressione che le nostre forze politiche tenteranno comunque di evitare regole tanto rigorose.
Fatta eccezione per i reati gravissimi e quelli di corruzione e concussione, per tutti gli altri reati l’incandidabilità dovrebbe essere applicata su pene superiori a quattro anni. Non le sembra troppo?
Effettivamente anche questo aspetto può sollevare qualche dubbio, ma d’altra parte bisogna fare anche attenzione a non presentare come ostacolo alla candidatura qualunque condanna penale, anche per un reato bagatellare. Probabilmente il Parlamento, fissando un limite di tre o quattro anni di condanna, cerca semplicemente di tracciare una demarcazione tra quelle che sono condanne realmente gravi e quelle che invece non dovrebbero impedire la candidabilità.
Qualche mese fa, in un editoriale, lei ha definito l’anticorruzione “la migliore riforma possibile”. E’ ancora di questa idea?
Dato il contesto politico in cui vivevamo, quella che il ministro Severino riuscì a far passare era senza dubbio la miglior legge possibile. E’ ovvio che si poteva fare una legge molto più incisiva, ma di fronte a una tale situazione politica sarebbe stato davvero molto difficile riuscire a fare qualcosa di meglio.
Quali crede siano i maggiori punti deboli della legge?
Il primo riguarda sicuramente la prescrizione, tema importantissimo che riguarda soprattutto i reati di corruzione.
Perché?
Perché il Parlamento, con la vecchia legge Cirielli e con specifico riferimento alla corruzione, ha praticamente dimezzato la prescrizione, portandola da 15 a 7 anni e mezzo. Quindi, data la difficoltà di fare accertamenti in materia di corruzione e dato il fatto che le corruzioni vengono scoperte dall’autorità giudiziaria solitamente qualche anno dopo che i fatti sono avvenuti, stabilire un simile limite significa introdurre un’altissima probabilità di prescrizione del reato. Ecco che allora, a mio giudizio, la legge anticorruzione avrebbe senza dubbio dovuto modificare tale aspetto, ma non è stato fatto.
In molti hanno criticato anche il mancato intervento sul falso in bilancio. Cosa ne pensa?
E’ vero. Qualche anno fa, sempre nell’ottica di salvaguardare alcuni imputati “eccellenti”, sono state notevolmente diminuite le sanzioni per il falso in bilancio, un reato molto importante che si trova praticamente a monte della corruzione.
Come mai?
Perché attraverso le false fatturazioni si vanno a creare fondi neri da poter utilizzare anche per le tangenti, visto che ovviamente non è consigliabile effettuare tali pagamenti attraverso gli assegni. Anche in questo caso, dunque, la legge anticorruzione sarebbe potuta intervenire per ripristinare un’adeguata repressione penale.
A cui non si è giunti a causa di un ulteriore stop di alcune forze politiche.
Per questo dico che, nonostante tutto, il ministro Severino è stata in grado di tenere conto dei tanti ostacoli posti davanti al cammino della legge, andando comunque a creare uno strumento contro la corruzione certamente migliore di quello attuale. Ecco perché il mio giudizio è sostanzialmente positivo.
(Claudio Perlini)