Caro direttore,
è veramente indecente che dopo tanti anni e avvenimenti che hanno trasformato radicalmente il nostro sistema socio-politico, ogni volta che si ripropone la scadenza elettorale per il rinnovo del parlamento ritornino in campo i più vecchi argomenti per impedire che una coalizione di centrosinistra possa assumere il governo del Paese. L’argomento adoperato dalla maggior parte degli attori politici che si candidano con altre formazioni e sigle è infatti il riprodursi della vecchia conventio ad excludendum motivata dalla ridotta affidabilità della sinistra italiana, proveniente in parte dalla storia del Pci, rispetto alla questione della democrazia, degli indirizzi economici e della tutela dei valori tradizionali della nostra società. Il centrosinistra sarebbe espressione dell’antica tradizione libertaria del socialismo italiano con forte ispirazione anticlericale e della tradizione comunista, che avrebbe sempre privilegiato l’intervento pubblico sull’economia di mercato. 



Si tratta, come è agevole dimostrare, di argomenti del tutto falsi e ideologicamente pregiudicati dall’intento di impedire che in Italia si possa realizzare un vero cambiamento rendendo davvero libere le scelte degli elettori. Queste accuse sono infatti infondate, sia che si guardi alla storia del vecchio Pci sia che si guardi all’attuale storia del Pd che ha operato del resto una vera e propria rottura con il proprio passato comunista. 



Per ragioni di informazione documentata, voglio infatti sottolineare che queste accuse erano totalmente false e strumentali al sistema di alleanze nel quale l’Italia si trovava inserita. Basta ricordare quale sia stata l’opera di Togliatti e del Pci nella fase costituente della nostra Repubblica. La maggior parte degli storici ha in particolare sottolineato che Togliatti ha svolto un ruolo decisivo nel gestire la transizione dalla monarchia alla Repubblica senza produrre drammi sociali e conflitti anche violenti fra le diverse parti in campo. Ernesto Ragionieri con grande ricchezza di prove ha messo in evidenza che Togliatti, pur condividendo con gli altri membri del Cln l’idea che il nuovo Stato si potesse fondare sulla monarchia sabauda (come speravano ad esempio gli alleati anglosassoni) riteneva che non si potesse mobilitare l’esercito italiano contro i nazisti senza trovare un filo di continuità col giuramento prestato alla casa Savoia. L’idea di riconoscere il governo del generale Badoglio, voluto dal Re, e quella di rinviare ad un referendum popolare la scelta fra repubblica e monarchia, sono state la base su cui è stato possibile costruire poi l’unità d’Italia. Il compromesso fra comitati di liberazione e governo monarchico trovò in Togliatti un importante sostenitore nonostante l’accusa di aver dato un’ibridazione che portò a definire – da parte della propaganda nazista – il gruppo dei dirigenti del Pci come “comunisti badogliani”. 



Togliatti fu inoltre il vero artefice della costruzione di un rapporto nuovo fra Stato e Chiesa, sanzionato nell’articolo 7 della nostra Costituzione, a riprova che la questione cattolica era per la dirigenza del partito una questione centrale che apriva la porta a una sincera collaborazione fra l’istituzione ecclesiale e il governo italiano. L’articolo 7, checché ne pensino gli avversari del Pci, fu la prova di una convinta adesione ad un  patto di conciliazione nazionale che vedeva la partecipazione concorde alla vita del Paese di entrambi le grandi istituzioni dello Stato e della Chiesa. 

Infine Togliatti, nella posizione di ministro di Grazia e Giustizia, fece adottare una generale amnistia verso i fascisti per porre fine a una lacerante guerriglia che continuava ad alimentare diversi focolai sul territorio nazionale. L’amnistia fu pensata e voluta da Togliatti come atto di grande generosità della nuova Repubblica e, nonostante le proteste dei partigiani e della base comunista, il gruppo dirigente del Pci sostenne la scelta con lealtà e convinzione. Il ruolo dei comunisti italiani è stato per altri versi di grande lealtà nella creazione dello spirito comune che ha prodotto la più bella Costituzione del mondo come Benigni ha mostrato nella sua trasmissione. 

Ancora oggi si può dire che la Costituzione italiana esprime il pluralismo culturale del nostro Paese in modo da raccogliere le migliori tradizioni cattoliche e riformatrici. Ancora Togliatti, dopo l’attentato subito in un clima di tensione drammatica che poteva scatenare una guerra civile, si è impegnato fino allo stremo per impedire che si potessero verificare forme di insurrezione contro il governo democristiano dell’epoca. Anche questa è stata una grande prova di amore per l’Italia e per la democrazia costituzionale.

Anche durante gli anni di Enrico Berlinguer questi obiettivi di difesa della democrazia repubblicana, di collaborazione istituzionale fra Chiesa e Stato, e di riconciliazione con tutta la storia del nostro Paese, sono stati perseguiti costantemente. Nei terribili anni del terrorismo, il contributo che i comunisti italiani riuscirono a dare per sconfiggere i nemici dello Stato, che cercavano di mascherarsi dietro ideologie marxiste e leniniste, è stato decisivo per mantenere l’unità del Paese e lo spirito di resistenza e di lotta contro ogni tentativo eversivo di attentare all’ordine repubblicano. 

Un discorso a parte, ma dello stesso tenore, andrebbe fatto per la storia della Cgil e del sindacato italiano che, a partire dal famoso piano del lavoro di Di Vittorio fino alla politica del compromesso redistributivo, ha cercato sempre, come testimoniano gli anni del rapporto fra Lama e Agnelli, di riportare al confronto e alla trattativa il conflitto fra i capitalisti e i lavoratori. 

Se già nella prima Repubblica, dunque, la conventio ad excludendum appariva ingiustificata rispetto alla fedeltà ai valori costituzionali dimostrata dalla sinistra comunista, è certamente e assolutamente ingiustificato riproporre argomenti pregiudiziali nei confronti dell’attuale Pd e dei suoi alleati. Basta sottolineare soltanto che dopo la caduta di Berlusconi il Pd avrebbe potuto chiedere le elezioni con molta probabilità di vincere e invece ha accettato di sostenere il governo Monti per impedire che l’Italia sprofondasse nel baratro dell’indebitamento sotto l’attacco spietato dei poteri finanziari internazionali. 

Vorrei ricordare a tutti coloro che mi stanno leggendo che senza la scelta di allora e senza l’iniziativa del capo dello Stato noi non avremmo avuto quest’anno di tregua che ha consentito, sia pure in modo molto contraddittorio, di mettere in ordine i conti pubblici. 

È vero che nell’arco della prima Repubblica il Pci ha sostenuto due referendum, divorzio e aborto, che sono stati esplicitamente contrastati dalla Chiesa cattolica, e che una parte della Dc, a cominciare da Fanfani, ha cominciato a cavalcare la carta dello scontro fra religione e laicità, ma se qualcuno ha voglia di leggere i documenti di quel periodo, può facilmente capire che la linea scelta non aveva alcuna base ideologica antireligiosa ma soltanto una valutazione politica di tutela delle classi più deboli rispetto a possibilità che erano offerte ai più ricchi con strumenti assai meno visibili (i famosi viaggi all’estero e le cliniche del cucchiaino d’oro). Berlinguer scelse di appoggiare il referendum come male minore necessario per evitare il massacro delle donne povere e per normalizzare la vita di famiglie che erano state ormai distrutte dalla devastazione della vita reale delle coppie in crisi. 

Sulla politica estera basterebbe ricordare che l’esponente italiano più prestigioso nella battaglia per la costruzione europea, Altiero Spinelli, fu eletto parlamentare nelle liste del Pci e che l’entrata nella moneta unica fu condotta dal governo di Romano Prodi con un fortissimo sostegno della sinistra italiana. 

Cosa si nasconde dunque dietro a questa reiterata accusa di “pericolosità” di un’ascesa al governo del centrosinistra che potrebbe mettere a rischio la coesione sociale e la partecipazione all’elaborazione delle politiche comunitarie? In realtà non ci sono argomenti perché non si vuole rendere pubblicamente trasparente il vero motivo del contrasto verso il possibile successo della coalizione guidata da Bersani. È certamente scolastico e anche un po’ semplificativo, ma a me pare chiaro si tratti di una contrapposizione che nasconde in realtà le differenti politiche che traggono origine dalla differenza di posizioni che dagli anni trenta a oggi dividono sulla scena mondiale gli economisti keynesiani dagli economisti liberali neomonetaristi. Nessuno dello schieramento keynesiano vuole mettere lacci e laccioli all’impresa e burocratizzare l’economia, ma soltanto mettere sotto controllo l’enorme potere dei centri finanziari e dei gruppi di interesse che pensano di potersi sottrarre al prelievo fiscale che alimenta la vita dello Stato. Nessuno vuole sostituire lo Stato al mercato ma valutare se sia più conveniente al Paese, come da parti diverse si sostiene, creare una banca nazionale in grado di favorire gli investimenti sotto il controllo del governo politico del Paese. Si vuole realizzare una minima tutela del lavoro che oggi appare totalmente cancellato dalla cosiddetta agenda Monti. 

Chi vuole impedire l’accesso democratico del centrosinistra al governo del Paese sarebbe molto più comprensibile e leale se dichiarasse la propria adesione al neomonetarismo liberista. Ciò che il centrosinistra propone in alternativa non è una minaccia agli equilibri costituzionali e democratici ma soltanto l’obiettivo di trovare nelle politiche keynesiane di sostegno della domanda di beni uno strumento per favorire la ripresa dell’occupazione e del lavoro giovanile e combattere le diseguaglianze. 

La stessa proposta nascosta dietro il paravento di Monti di un’aggregazione di interessi corporativi potenti e di personaggi come Montezemolo e Marcegaglia, fa pensare a una motivazione molto materiale della difesa ad oltranza degli interessi economici di chi vuole ancora più libertà nel mercato del lavoro precarizzando definitivamente le condizioni di vita di una gran parte della popolazione lavoratrice.

Tutte le forze coalizzate da un lato e dall’altro per combattere il centrosinistra mostrano tutta la strumentalità e l’opportunismo delle loro tesi allorchè si affrontano i temi della famiglia e dei valori della tradizione italiana. È veramente stucchevole che il ministro Sacconi, che non si è scandalizzato di fronte alla lunga stagione berlusconiana di orge, festini, disprezzo delle donne, uso spregiudicato di mediatori per avere accesso al mondo delle escort, esibizione di una condotta amorale e licenziosa, si candidi poi a interpretare i valori della famiglia assieme a tanti berlusconiani di ferro e cerchi di intrufolarsi nel nuovo fronte anti-Bersani che sta cercando di organizzare. Ma è molto più grave che questi temi della famiglia diventino la ragione per il sostegno di questa lotta contro il Pd da parte di molti cattolici e di esponenti del mondo ecclesiastico.

Ho scritto tutto ciò che precede per arrivare a questo punto cruciale del mio appello alla verità. È sicuramente vero che nello schieramento di centrosinistra sono presenti personalità autorevoli che, adeguandosi alle tendenze dello sviluppo scientifico e tecnologico, tendono a considerare in termini potremmo dire relativistici le questioni che stanno a cuore alla Chiesa e al Papa: il matrimonio fra gli omosessuali e la conseguente adozione di figli secondo l’uso di tecnologie manipolative per realizzare comunque la procreazione; la lotta contro l’angoscia di morte attraverso il progetto dell’eutanasia. Ma questa posizione, che io per primo non condivido, come ho scritto in tanti interventi pubblicati, non è la linea del centrosinistra né il suo tratto principale. 

Anche Ignazio Marino, che sicuramente è il più significativo esponente di quanti in nome dei risultati della scienza tendono a vedere la liberalizzazione delle forme del nascere e del morire come un fatto evolutivo, non si sottrae per nulla al dialogo col mondo cattolico su questi temi e comunque sostiene alcune posizioni in nome della sua concezione della laicità dello Stato e non già per spirito antireligioso. Persino uno scrittore come Melloni, che non è né comunista né ateo, commentando l’ultimo intervento del Papa su questi temi ha sostenuto che se la Chiesa può difendere legittimamente sul terreno spirituale la tesi dei valori non negoziabili, non può tuttavia trasferirli in una organizzazione politico-partitica della Chiesa che traduce in leggi dello Stato i precetti religiosi. La sfera legislativa è infatti una sfera di compromessi pratici che rispondono all’esigenza di mantenere la coesione sociale malgrado le differenze di giudizio. Bisogna qui ovviamente ricordare le parole di Gesù sull’opportunità di dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio. 

Purtroppo storicamente la Chiesa, spinta dalla strumentalizzazione di alcune forze politiche, ha finito col sostenere posizioni e governi di centrodestra come unica difesa contro il laicismo anticlericale della sinistra. Appoggio che ha di fatto autorizzato i più biechi interessi delle forze economiche che hanno utilizzato il ricatto sui problemi dell’etica sociale per attuare un vero e proprio piano di violenta espropriazione dei diritti del lavoro. L’appoggio ai governi di centrodestra è stato sotto questo profilo una clamorosa smentita all’immagine della Chiesa come profezia e comunione di spirito, come Chiesa dei poveri e attualizzazione costante del Vangelo di Cristo e della sua testimonianza terribile per difendere la verità del suo messaggio di fronte alla volontà persecutoria dei dirigenti della comunità israelitica e alla complicità delle autorità romane. Anche questa reminiscenza del passato serve a mostrare quanto sia pericoloso per lo spirito religioso l’alleanza fra il potere politico e il potere ecclesiale. 

È questo secondo me il momento in cui la verità delle differenze e il loro modo di esprimersi deve essere davvero oggetto di una discussione pubblica e non può in definitiva dipendere dall’autocertificazione di custodi della famiglia e dei valori religiosi affidata unicamente alle loro dichiarazioni senza alcuna prova della coerenza fra parole e azioni. Io credo, e lo dico con insistenza proprio su questo giornale, che mai l’irreligiosità dell’Occidente, denunciata da Del Noce, è stata così praticamente diffusa e interiorizzata nelle forme di vita degli italiani come durante il governo Berlusconi. Al di là di tutti i giudizi politici, la vera vergogna di chi ha sostenuto Berlusconi è quella di avere accettato senza batter ciglio l’assoluta amoralità del suo comportamento fino al punto da sostenere nel Parlamento italiano che Ruby era stata tutelata da Berlusconi perché nipote del dittatore egiziano Mubarak. Bisogna sempre ricordare che è stato il punto più basso di santificazione legale di una spudorata menzogna a cui nessun sostenitore del governo Berlusconi si è sottratto. 

In realtà, i problemi sollevati dall’intervento del Papa non si possono confondere con gli schieramenti politici giacché il piano su cui il confronto va tenuto nell’interesse della libertà di tutti è quello antropologico, occorre cioè valutare in che misura una legislazione libertaria in questi campi possa avere ripercussioni negative sul terreno dell’immagine dell’uomo che è posta alla base della tradizione occidentale europea. Il codice della maternità e della paternità, l’interesse della società alla riproduzione dei suoi componenti non sono solo questioni religiose ma attengono alla rappresentazione che una società storica ha della propria identità profonda. 

Se questo giornale nel quale ho deciso di collocare questo mio appello alla verità aprisse un dibattito su ciò che oggi può legittimamente distinguere il centrodestra dal centrosinistra, questo sarebbe un contributo di grande valore per ripristinare la serenità degli italiani di fronte alla scelta elettorale in un momento così grave per le sorti dell’Italia e dell’Europa.