Riflette Mario Monti, alla ricerca di una difficile soluzione fra spinte contrapposte, quella a candidarsi, e quella a non farlo. Da una parte i centristi che su di lui hanno scommesso, ma ancor di più l’economia e la politica internazionale, che lo vedono come unica garanzia credibile di un’Italia finalmente avviata sulla via del risanamento. Dalla parte opposta a frenarlo il muro eretto da Bersani e Berlusconi, e la freddezza con cui il Quirinale ha circondato l’intenzione di scendere in campo.
Certo, più di tutti i critici pesano sondaggi impietosi, secondo cui se si votasse domani Monti rischierebbe di arrivare quarto, non solo dopo Bersani e Berlusconi, ma anche dopo i grillini. Una debacle che lo consegnerebbe esclusivamente al suo ruolo di senatore a vita, senza alcuna possibilità di contare nell’Italia del dopo voto.
Nasce da qui il mezzo ripensamento intorno alla sua diretta partecipazione alla campagna elettorale. Mezzo, perché il professore bocconiano proprio non si capacita che la svolta da lui impressa al paese possa non avere un seguito. Ecco perché annette tanta importanza al memorandum per l’Italia cui lavora da giorni, e che rimarrà un punto di riferimento qualunque sia la sua decisione finale. Sarà un manifesto programmatico alto, che potrà essere condiviso largamente, anche se non da tutti. Non dagli antieuropeisti alla Berlusconi, ad esempio. E neppure dai nemici giurati del rigore alla Vendola.
Se sceglierà di conservare la propria terzietà in questa fase di campagna elettorale, lo farà sicuramente a malincuore. L’idea di riunire sotto il proprio prestigio gran parte dei moderati italiani l’ha accarezzata seriamente, sia prima sia dopo l’investitura avuta dal recente vertice del PPE, ma vi si sta convincendo per via delle difficoltà che sta incontrando. Gelosie incrociate e sgambetti talmente scoperti da non permettere il decollo del progetto.
Rimarranno orfani quanti – soprattutto al centro – hanno creduto in lui. Anzitutto quelli della “Lista per l’Italia”, che a Monti si sono sempre ispirati: Casini, Fini e Montezemolo, dati in forte difficoltà dai sondaggi. E il restare senza il proprio naturale punto di riferimento non sarà senza conseguenze. Ci sono tantissimi nodi da sciogliere. La leadership, anzitutto, che potrebbe essere di Montezemolo, come pure di Emma Marcegaglia, se accettasse una corsa tutta in salita.
C’è poi il problema della convivenza sotto lo stesso tetto, con le forti riserve degli uomini più vicini al presidente della Ferrari nei confronti di Gianfranco Fini e dei suoi. Del resto, su alcune facce della vecchia politica le perplessità erano venute anche a Monti e ai suoi, come quando si sono trovati davanti il più fedele collaboratore di Casini, Lorenzo Cesa, che qualche guaio con la giustizia in passato l’ha avuto e la cui ricandidatura non è certo vista di buon occhio.
Concreto è quindi il rischio che il fronte centrista s’incrini, e che si trovi in difficoltà anche di fronte alla richiesta di spazio che viene dai montiani in libera uscita dai due maggiori partiti, dal PDL, ma anche dall’ala più moderata del PD. Tutta gente famosa, ma praticamente senza voti. Si pensi ai Pisanu o ai Frattini, tanto per fare dei nomi. E i posti disponibili, senza Monti, si riducono sensibilmente.
Resta da capire che cosa Monti immagini per il proprio futuro. Se si terrà fuori dalla campagna elettorale, rimarrà una riserva della Repubblica, che potrebbe tornare utile in caso di pareggio al Senato. Ipotesi tutt’altro che peregrina. In caso contrario potrebbe essere l’uomo giusto per il Quirinale, anche se nel 2006 la sinistra, forte di una maggioranza di appena due voti al Senato, si prese tutto con Napolitano, Prodi, Marini e Bertinotti. C’è una terza ipotesi, però, di cui si parla in queste ore nei palazzi romani: che Monti possa diventare il ministro dell’economia di un governo Bersani, così da tranquillizzare l’Europa e i mercati, per riceverne in cambio l’appoggio per planare nel 2014 sulla poltrona di Barroso a Bruxelles. In quel caso per il Quirinale il nome che circola è quello di un altro Mario, il Draghi governatore della BCE.