Sarà che i magistrati, giunti all’apice della carriera, cadono preda della noia. E, invece che fare come le persone normali e godersi il successo, magari pure meritato, sentono il bisogno di iniziare una nuova vita. Con disinvoltura. Una “crisi di mezza età” che, nel caso specifico, non può restare circoscritta alla dimensione privata delle scelte individuali, ma pone parecchie questioni rispetto alle legittimità delle loro scelte: la legge non lo vieta, va bene; ma quanto è opportuno che giudici o pm scendano in politica? Pietro Grasso, procuratore nazionale antimafia, è solo l’ultimo di una lunga serie che ha deciso di compiere il salto. Si candiderà, alle prossime politiche, con il Pd. Giovedì, in mattinata, aveva presentato al Csm la richiesta di aspettativa elettorale. Prima di lui, il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia. Stefano Zurlo, cronista giudiziario de Il Giornale, ci dice cosa ne pensa di tutta la vicenda.



Come valuta la discesa in campo di Grasso?

Rispetto a tutti quei magistrati che scenderanno in campo e a tutti quelli che già sono scesi, si porrà sempre un problema enorme, anzitutto in termini di opportunità. Prendiamo il caso di Ingroia, il più clamoroso: inevitabilmente, si rafforza il sospetto che lui, e tutti quelli come lui, abbiano capitalizzato i processi e le indagini di cui sono stati protagonisti e che tutto il lavoro svolto sia stato propedeutico alla successiva discesa in campo. E’ evidente, inoltre, che, in tutti questi casi, il cittadino che venga giudicato o inquisito da costoro non possa contare sulla loro imparzialità; o che possa pensare, retrospettivamente, di non esser stato giudicato equamente. D’altro canto, quanti di questi personaggi la mattina indagavano su Berlusconi e la sera scrivevano un libro contro Berlusconi?  In ogni caso, bisogna dare atto a Grasso di avere avuto, quantomeno, il buongusto di chiedere il pensionamento.



Era così fondamentale?

Direi di sì. Molti, dopo essere entrati in politica, tornano indietro. Tanto per citarne alcuni (ma ci sarebbero decine di esempi): Vito D’Ambrosio, conclusi due mandati da presidente della regione Marche, è tornato al suo incarico di sostituto procuratore generale; Adriano Sansa, dopo esser stato sindaco di Genova, è tornato in magistratura, ed è attualmente presidente del Tribunale dei minori della sua Città; Giuseppe Ayala è stato deputato e sottosegretario al Ministero della  Giustizia del primo Governo Prodi e del governo D’Alema. Ad oggi, è consigliere presso la Corte di Appello dell’Aquila.



Eppure, la legge lo consente

Appunto, andrebbe cambiata. Stabilendo che non si possa tornare indietro. E che, quantomeno, ci sia tra il periodo passato in magistratura e la discesa in campo un periodo di decantazione di diversi anni. Peccato che tutto ciò sia fantascienza.

Perché?

La politica non è nemmeno in grado di riformare il porcellum o la disciplina sulla diffamazione, figuriamoci se riesce a metter mano ad un argomento così controverso. Già vent’anni fa scrivevo e affermavo le stesse identiche cose. Non è cambiato nulla. Anzi. Nel frattempo la storia ci ha regalato personaggi come Di Pietro e De Magistris. Del resto, la nostra magistratura ha una visibilità impensabile nel resto del mondo; giudici e pm, se vogliono, hanno la strada spianata verso il Parlamento.

Dove ha origine il fenomeno?

Il terrorismo, la mafia e Tangentopoli hanno moltiplicato l’eco mediatica degli atti della magistratura. Alcuni hanno sfruttato tutto ciò a proprio vantaggio. Non dimentichiamo che la politica, dal canto suo, è stata incapace di autoriformarsi, di porre fine al malcostume e alla malversazioni. Si è creato un vuoto, in cui la magistratura ha potuto facilmente auto-erigersi ad autorità morale. 

 

(Paolo Nessi)