Dopo 34 anni di tentativi andati a vuoto, il Senato ha approvato l’Ufficio parlamentare di bilancio, un’alta autorità il cui compito è valutare che l’indebitamento da parte dello Stato rimanga entro i limiti previsti dalla legge. Secondo Mario Baldassarri, presidente della commissione Finanze e tesoro al Senato, si tratta però di una vittoria a metà, perché la scelta di affidare l’organismo a tre membri, anziché a uno solo, di fatto riapre alle classiche spartizioni di potere anziché alle scelte tecniche di un’autorità indipendente.
Come è nata l’idea di un’alta autorità sul bilancio?
E’ una delle battaglie condotte, insieme all’amico Beniamino Andreatta, fin dal 1978 quando proponemmo, lui da parlamentare e io da economista, l’istituzione dell’alta autorità sulla finanza pubblica. A ispirarci era la figura del direttore generale del Congressional budget office, che è l’autorità americana che riferisce direttamente al Congresso federale. Allora fu impedita questa riforma fondamentale, che se fosse stata adottata nel 1978 avrebbe impedito la situazione tragica in cui ci troviamo oggi, soprattutto in termini di debito pubblico.
Sbaglio o dopo quella sconfitta lei non si è arreso?
Da quando nel 2001 sono entrato in politica, ho proposto almeno due volte l’istituzione dell’alta autorità sulla spesa pubblica. Entrambe le volte la mia iniziativa è stata respinta con grande fermezza dal precedente ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, e l’effetto è stato che negli ultimi 5 anni il debito pubblico è aumentato di 500 miliardi. L’ultima volta è stata presentata al Senato il primo agosto insieme a 42 senatori, ma è stata messa su un binario morto.
Infine però la proposta è diventata legge …
Il provvedimento è stato approvato la settimana scorsa, e finalmente istituisce un ufficio studi con diretto riferimento al Parlamento. Finora l’ufficio che doveva dare i giudizi sulle leggi era esclusivamente la ragioneria generale dello Stato, che è all’interno e alle dipendenze del ministro dell’Economia. E’ evidente quindi che nonostante il grande merito tecnico della ragioneria, da un punto di vista di architettura istituzionale è una situazione palesemente anomala. E’ il Parlamento infatti che deve esprimere la valutazione sugli effetti delle leggi, e non un organo dipendente dal governo.
E’ soddisfatto del nuovo testo di legge?
Io, insieme a pochi altri come il senatore Mauro Agostini del Pd, abbiamo notato che sarebbe stato meglio avere un organo monocratico al di sopra delle parti e pienamente responsabile dei giudizi e delle valutazioni che esprime. Un organo composto da tre commissari, è auspicabile che sia formato da persone competenti, capaci, autorevoli e al di sopra delle parti. Ma essendo in tre sia al momento della nomina sia in quello delle decisioni, si rischia qualche effetto di compromesso, mentre sui numeri della finanza pubblica non ci possono essere compromessi. Infatti la procedura prevista è che le commissioni parlamentari individuano dieci nomi, all’interno dei quali i due presidenti di Camera e Senato ne nominano tre. La scelta può quindi cadere su un commissario di destra, uno di sinistra e uno di centro, oppure, in riferimento alla teoria economica, su un monetarista, un keynesiano e un marxiano.
E quindi?
Si tratta di un sospetto e di un rischio, non è detto che avvenga così, ma quello che è certo è che l’organo monocratico avrebbe sgombrato il campo da questi sospetti e da questi rischi. Queste cose io le ho dette nell’aula del Senato, votando a favore ma motivando nell’intervento questi aspetti problematici. Ho votato però ugualmente a favore perché è meglio avere un organo che riferisce direttamente al Parlamento sull’andamento del bilancio pubblico, piuttosto che non averlo.
E’ davvero convinto che, creando questo organo dal 1978, l’Italia avrebbe evitato i suoi problemi di bilancio?
Sì, perché i governi dal 1978 a oggi non avrebbero avuto la possibilità di compiere i trucchi di bilancio che sono stati messi in atto, aggirando l’articolo 81 della Costituzione. Si sarebbe introdotta un’alta autorità senza il cui visto la legge non può essere aggirato.
(Pietro Vernizzi)