La discesa (o salita) in campo di Mario Monti ricorda, per certi aspetti, quella di Silvio Berlusconi nel 1994. Sostanzialmente identico il bacino dei possibili votanti: un elettorato non di sinistra, da tempo maggioritario (all’epoca: il cosiddetto “pentapartito” di democristiani, laici e socialisti), che si trova ad essere improvvisamente orfano e sull’orlo di essere governato da un soggetto contro cui si era sempre schierato.
Che l’”offerta” di Monti possa avere possibilità di decollo lo vedremo nei prossimi giorni. Se vi sarà davvero una proposta innovativa, unitaria e identitaria,allora la campagna elettorale non sarà ad esito scontato con la verosimile vittoria (grazie al premio di maggioranza) del PD come primo partito. Se invece Monti sarà usato come “testimonial” di varie liste, il tutto darà l’impressione di un conglomerato che chiede voti per andare a trattare posti da Bersani: dal “Monti bis” al “Riccardi bis”.
Oggi infatti lo stesso Berlusconi sembra competere con Casini sullo stesso terreno e cioè su chi riuscirà ad essere determinante al Senato e potrà quindi, nella posizione migliore, concordare con il PD un candidato al Quirinale e consentire il proseguimento della legislatura. A Berlusconi e Casini si potrebbe aggiungere, come terzo offerente, il conglomerato radical-giustizialista di Grillo-De Magistris che, contando su Vendola, potrebbe obbligare il PD a trattare non sulla sua destra, ma sulla sua sinistra (almeno il nuovo inquilino del Quirinale che è, al momento, la principale posta in gioco).
Riassumendo: allo stato attuale si delinea una vittoria di Bersani con numeri probabilmente incerti, ma con almeno tre “vassalli” a disposizione. Diverso potrebbe essere lo scenario se i propositi di Monti di non lasciar campo libero ad una maggioranza Bersani-Vendola-Camusso si traducessero in un soggetto politico ed elettorale “a vocazione maggioritaria”.
L’interrogativo di fondo verte sul perché, dopo venti anni di maggioritario (nato con le elezioni amministrative del 1993), esista ed, anzi, sia in primo piano una “questione del Centro” nello scenario politico italiano. Si potrebbe andare indietro negli anni a quando, tra il ’92 ed il ’94, scomparvero i partiti che avevano governato l’Italia nei decenni precedenti e prese forma uno “strano maggioritario” e cioè un bipolarismo che, a differenza da quel che avviene in analoghi sistemi elettorali occidentali, vede in Italia la competizione tra due soggetti in cui è molto forte il condizionamento da parte di identità estremiste sia sulla destra sia sulla sinistra. Ma quel che conta, nell’imminenza del voto del 24 febbraio, è il passato più recente. Conta cioè il fatto che sia Bersani sia Berlusconi sono in campo dopo aver parallelamente sconfitto nei mesi scorsi il “centro” presente a sinistra e a destra. Le “primarie” del centro-sinistra hanno visto sì Bersani abbastanza misurato, ma i suoi portavoce hanno fatto campagna elettorale per ben due turni indicando Matteo Renzi come un infiltrato di destra: Vendola e la Camusso lo hanno ripetutamente definito come un nemico di classe.
Da parte sua Silvio Berlusconi ha anch’egli caratterizzato il suo “ritorno in campo” essenzialmente come lotta alle posizioni di “centro” – non solo ex socialiste, ma anche ex democristiane – del Pdl. La dissidenza che è nata prima intorno ad Albertini e poi si è sviluppata con Mauro e Frattini ha come base il fatto che Berlusconi appare sempre più distante dai partiti popolari europei. In che cosa infatti è consistito in passato il primato – che gli avversari politici e mediatici faticano a riconoscere – di Silvio Berlusconi? Con Berlusconi per la prima volta l’Italia ha avuto un premier che era in grado di avere un “filo diretto” con Mosca e Washington e capace di sviluppare rapporti di amicizia e collaborazione con i paesi nordafricani, arabi e del Mediterraneo senza compromettere la politica di solidarietà con Israele. Questo è stato il “punto di forza” di Berlusconi che lo ha trasformato in un leader di primo piano del PPE. Tutto ciò è scomparso: per ragioni obiettive (il fisico venir meno di molti interlocutori) e personali (la cosiddetta perdita di carisma). Oggi la “rentrée” di Berlusconi avviene in un quadro di sostanziale isolamento internazionale. Inoltre le “campagne” che Berlusconi ha fatto, una dopo l’altra, contro il cofondatore del suo partito, la politica economica del suo governo, il successore da lui designato e il 90 per cento dei suoi parlamentari non hanno concorso ad accreditarlo come “moderato” e di “centro”. La convinzione che anima la campagna elettorale del Pdl è che gli italiani – in maggioranza ed in sostanza – siano di destra e che “alla fine” voteranno per Berlusconi. E’ un’ipotesi che non manca di argomenti e sembra che i sondaggi la confortino. Di certo, però, è che oggi Berlusconi non ha più leader moderati europei disponibili ad incontrarlo.
I pronunciamenti dei “riformisti” del PD come Ichino e dei “popolari” del PDL come Frattini evidenziano quindi possibili aree di consenso per Mario Monti. Ma affinché la sua proposta sia credibile e persuasiva occorre che il premier non sembri un “re travicello” con alle spalle un cartello di disordinate e personali ambizioni. Ciò richiede il varo di una lista unica con un “passo indietro” di Casini e Montezemolo. Lo “spacchettamento” di Monti in più liste mina la credibilità di una “vocazione maggioritaria” alternativa all’imminente governo Bersani-Vendola-Camusso.