Il ballottaggio delle “primarie” del centrosinistra finisce come quasi tutti gli osservatori politici, non solo i “guru” dei sondaggi, avevano messo in preventivo. Vince Pier Luigi Bersani, il segretario del Pd, il personaggio che dà una continuità alla storia post-comunista del Partito democratico. Non stravince nei numeri, si assicura un 60% di tutta sicurezza, con grandi consensi soprattutto al Sud piuttosto che nelle città del Nord Italia. Ma Matteo Renzi, il giovane sindaco di Firenze, il “rottamatore”, non perde, anche se si ferma al 40 percento, anche se nel discorso di commiato da questa competizione si scusa con i suoi supporter per i suoi errori, primo fra tutti quello di non essere riuscito a intercettare altri elettori italiani. Ma il congedo è all’insegna del: “Ne è valsa la pena”. E poi: “Noi non siamo riuscitia cambiare la politica, ora non facciamoci cambiare da questa politica”.
Antonio Polito, editorialista de “Il Corriere della Sera”, un attento osservatore della storia della sinistra italiana traccia un bilancio originale di queste “primarie” che si sono concluse con il ballottaggio di ieri.



Al di là del risultato, che quasi tutti giudicavano scontato, che cosa esce da queste “primarie”?
Emerge una grande contraddizione, un fatto nuovo nella storia della sinistra italiana. 

In che senso?
In questa ultima settimana Bersani ha accentuato, anche orgogliosamente, la sua linea di una sinistra classica, legata alla storia del movimento operaio italiano, a una continuità che ha portato giustamente Nichi Vendola a dire “si sente profumo di sinistra”. Di fronte a questa linea, per la prima volta oltre un milione di italiani si è mobilitato per sostenere un candidato, Matteo Renzi, che di fatto rappresenta una cultura politica del tutto diversa, una discontinuità che non si era mai conosciuta, con un progetto politico innovativo, molto differente da quello della sinistra classica italiana. E questo fatto pone degli interrogativi.



Quali esattamente i più importanti?
Facciamo un breve calcolo. Prima delle “primarie” il Pd era valutato intorno al 25% nei consensi per le prossime elezioni politiche. L’effetto di queste “primarie” ha portato il Pd nei sondaggi al 30%. E’ evidente che c’è stata una parte dell’elettorato mobilitata da Renzi che è diventata potenzialmente una parte dell’elettorato del Pd.

Lei pensa che la mancanza di questo cambiamento possa produrre una delusione e un ritorno all’astensione da parte dei nuovi elettori calamitati da Renzi?
Non so rispondere a questa domanda. Può darsi che Bersani sia capace di tenere insieme queste due linee. Ma non c’è dubbio che la contraddizione esiste, perché quattro elettori su dieci, di qualche milione che è andato a votare, si è schierato dalla parte di Matteo Renzi. Ripeto, non so rispondere a questa domanda, ma è inevitabile porsela e vedo che c’è un problema di fondo che emerge in tutta evidenza dal risultato finale: queste forze che si sono mobilitate, crederanno ancora a un progetto di riforma del Pd?



A suo parere, quali passi farà adesso Renzi?

Ma io credo che intanto può ritenersi soddisfatto da questo successo, da questa indubbia affermazione e, come si dice, si “fermerà per un giro”, stando attento che nelle liste compaiano il più possibile persone vicine a lui. Diciamo che dalla formazione di queste liste dipenderà il giudizio e l’impegno di Renzi sulla linea di Bersani. 

C’è comunque un altro problema, quello dei rapporti di forza tra i soggetti politici italiani dopo questo risultato. 
Certamente. Si ricomincia a giocare i vecchi ruoli che si sono già conosciuti. Pier Ferdinando Casini ricomincia a sperare in un’alleanza tra centrosinistra e centro, che Renzi ad esempio aveva escluso. E’ probabile a questo punto che Silvio Berlusconi ritorni in campo e si metta a fare di nuovo una campagna politica all’insegna dell’anticomunismo. C’è anche da valutare il sospiro di sollievo che può tirare il “Movimento 5 Stelle” di Beppe Grillo, che ora può ripetere che “Bersani è un morto che cammina”, che il rinnovamento non esiste se non nel suo movimento. 

In questo senso la situazione diventa di nuovo precaria. 
Diciamo che resta difficile. Innanzitutto è probabile che si vada a votare con il “porcellum”, magari con qualche modifica e che su questo siano d’accordo sia Berlusconi che lo stesso Bersani. Poi c’è il rischio che, se il potenziale elettorato del Pd disertasse le urne, si potrebbe avere una maggioranza problematica dopo il voto, magari con un Pd che resta al di sotto del 30%. E’ una partita tutta da vedere. 

(Gianluigi Da Rold)

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