Tutti i nodi irrisolti del Pdl sono rimasti tali. Sulle primarie, ha detto Alfano al termine del vertice con Berlusconi di sabato, «non è avvenuta nessuna marcia in dietro». Che è cosa ben diversa dal proclamarle solennemente. Tanto più che la decisione finale sarà assunta dall’ufficio di presidenza. Resta tale, soprattutto, l’incognita più pesante: nessuno sa cosa Berlusconi intenda fare del partito, se ne creerà uno nuovo, se si candiderà, e con quale dei due. Nel frattempo, aumenta il pressing per indire l’election day. Il segretario del Pdl dice che eviterebbe uno spreco di 100 milioni di euro, mentre Maroni lo incalza sulla data del 10 febbraio: «stacchi la spina al governo così si sciolgono le camere prima di Natale». Abbiamo fatto il punto sulla situazione con Fabrizio Rondolino, giornalista e scrittore.
Crede che, a questo punto, al Pdl converrà fare le primarie?
Considerando i risultati, in termini di affluenza, delle primarie del Pd, quelle del Pdl si riveleranno, inevitabilmente, una figuraccia. Credo che, a questo punto, converrà fare realisticamente marcia indietro. D’altro canto, la discussione in seno al partito nasconde un altro problema, quello reale.
A cosa si riferisce?
Berlusconi deve ancora pronunciarsi sulla sua eventuale discesa in campo. Per il momento, le sue intenzioni sono del tutto ignote. La discussione sulle primarie, quindi, cela l’attesa che Berlusconi sciolga la riserva.
Perché, in ogni caso, Alfano continua a insistere sulle primarie sapendo bene che Berlusconi non le vuole. Anzi, pare che avesse posto come condizione per restare nel Pdl la rinuncia alle consultazioni interne
Quello che sembra un puntiglio di Alfano riflette, in realtà, una guerra di posizione combattuta contro Berlusconi. Alfano usa la barricata delle primarie, mentre Berlusconi continua a brandire l’arma dell’incertezza sul da farsi.
Chi sta prevalendo?
La verità è che, se spersonalizzata, la battaglia riflette due opzioni politiche nettamente alternative. Come, del resto, sta avvenendo nel Pd. Il Pdl di Alfano dovrebbe confluire con Montezemolo e Casini, per la costruzione di un nuovo centrodestra, ed esprimere una linea moderata, neo-democristiana. Quello di Berlusconi, invece, avrà connotati ultraliberali e sarà caratterizzato da una campagna elettorale incentrata sulle critiche a Monti e all’Europa della Merkel. Per questo, in fondo, le vere primarie dovrebbero consistere in una competizione tra Alfano e Berlusconi.
Ci saranno mai?
Ne dubito.
Gli ex An, invece, potrebbero verosimilmente scindersi?
In momenti di crisi, i riflessi identitari si rafforzano, e le ipotesi di scissione sono fisiologiche. Ci si scinde, in genere, quando si perde, nella convinzione che tornando a casa si possa recupera l’energia perduta.
Come finirà?
Non credo, francamente, che si arriverà all’esplosione del centrodestra. Se Berlusconi resta nel Pdl, sarà possibile ritrovare una sintonia politica proprio sulla’antimontismo. Gli ex An, infatti, sono decisamente più anti-montiani di gran parte degli ex Forza Italia. D’altro canto, anche la lista personale di Berlusconi, benché sia un’ipotesi verosimile, ha scarse probabilità di realizzazione. Molto dipenderà, inoltre, dalla legge elettorale. Ma, alla fine, credo che si troverà una compromesso per far sì che la situazione resti invariata. Prevarrà la sensazione che conviene a tutti ricomporre, in qualche modo, l’unità del partito. Al limite, ci sarà una sorta di restyling.
Altro tema particolarmente caro, questa volta, a entrambi, è l’election day. E’ così importante?
Votare a febbraio non sarebbe incongruo. Approvata la legge di stabilità, non penso che al Parlamento e al governo resti molto da fare. Sta di fatto che Alfano sa bene che dividere le regionali dalle politiche avvantaggerebbe il centrosinistra. Verosimilmente, infatti, vincerà sia in Lazio che in Lombardia. Questo successo si ripercuoterebbe positivamente anche sulle elezioni successive. Dubito, tuttavia, che sfiducerà il governo. Non potrebbe farlo di certo prima del varo della legge di stabilità. E, oltretutto, questo non produrrebbe necessariamente l’esisto sperato.
Perché no?
La caduta di un governo non implica lo scioglimento delle Camere, prerogativa del capo dello Stato. Che, prima di avvalersene, procederebbe con le consultazioni di rito per verificare se è possibile affidare l’incarico a qualcun altro. Nel frattempo, le regionali sarebbero già passate, e ci si avvierebbe verso le politiche senza aver raggiunto l’obiettivo.
Perché, allora, la Lega sta cercando di forzare la mano ad Alfano?
Nell’ipotesi di un ritorno all’alleanza con il Pdl, vuol semplicemente far sentire la sua voce.
(Paolo Nessi)