Nella conferenza stampa di Mario Monti, venerdì sera al Senato, a un certo punto mi sono reso conto in prima fila di essere il giornalista che gli era più vicino. Fisicamente, naturalmente, al netto della portavoce Betty Ulivi che, claudicante a una gamba non so per quale ragione, come sempre era stoicamente al suo fianco. Ho così potuto cogliere, da un punto visuale privilegiato, anche la mimica e l’animo con cui il presidente del Consiglio dimissionario comunicava le sue decisioni. E ne ho tratto conferma di uno stato non dico di prostrazione, ma certo di grande preoccupazione per la scelta fatta di candidarsi. Niente a che vedere, insomma, con i sorrisi e i saltelli sulla sedia che ricordiamo della discesa in campo di 19 anni fa, qui siamo di fronte a un uomo che si sente nel diritto e prima ancora nel dovere di metterci la faccia per difendere il lavoro fatto, che lui ritiene, e non solo lui, fatto per il bene dell’Italia.



I suoi primi passi però non sono stati dei migliori. Persino sul vicinissimo Sole 24 Ore sono stati avanzati dubbi sulla consistenza programmatica della sua Agenda. Faccio subito una premessa, però: fa un po’ ridere la tendenza in voga da qualche anno di voler programmare tutto. Mi ricorda quello schema sul calcio d’angolo inventato da un mio amico che ti mandava in rete con tre passaggi. Sì. Peccato però che c’era la squadra avversaria e la cosa non funzionava mai. Come si fa, tornando alla politica, a prevedere terremoti, alluvioni, che pure poi vengono, e come si poteva prevedere a inizio legislatura una crisi di questa portata?



A volte quindi è meglio mettere in gioco una faccia, un metodo, dei valori, una collocazione, una opzione preferenziale che sia in grado di tenere di fronte a qualsiasi tempesta. Chi detesta Monti dirà che l’unica opzione preferenziale sua è quella delle tasse, ma è un argomento davvero ingeneroso, specie se usato da Silvio Berlusconi. E’ come se il comandante Schettino una volta finito sugli scogli se la prendesse con i soccorritori, che hanno dovuto contare i morti ed evitare la strage.

Monti ha fatto questo. E’ stato chiamato da Napolitano una volta che questi ha constatato non tanto il non esserci i numeri in Parlamento (è stata semmai, questa, una pezza di appoggio) quanto l’insussistenza di una politica condivisa del governo di fronte alla crisi impetuosa, constatazione emersa con chiarezza dopo aver ascoltato al Quirinale Tremonti sostenere tesi opposte a quelle dell’allora premier, con l’Europa che premeva per ottenere risposte credibili a una crisi che stava avvolgendo, attraverso noi, tutta l’area euro.



Perché se dobbiamo andare incontro, ora, alla propaganda di campagna elettorale ci dobbiamo andare forti di una memoria che ci ricordi come sono andate davvero le cose. Le immagini drammatiche della Spagna di questi giorni le vediamo tutti, in tv: ebbene, non che noi siamo messi benissimo, ma di sicuro all’arrivo di Monti eravamo messi peggio noi degli spagnoli agli occhi dei mercati che, con il loro cinismo, non fanno altro che certificare lo stato dell’arte: e in quella situazione, con quel livello di spread in quel momento peggiore della Spagna, eravamo praticamente in mano agli usurai e non potevamo reggere che poche settimane, forse giorni.

La cambiale è quindi arrivata all’incasso nelle mani di Monti e lui si è sobbarcato tutto il relativo carico di impopolarità, non avendo tempo di attuare quelle riforme strutturali che potevano realmente arrivare a finanziare un piano serio per la crescita. E siamo ad oggi: alla gara a prenderne le distanze, per motivi elettorali, con la bagattella del Pdl che prima gli toglie la fiducia poi gli offre la disponibilità a guidare i moderati. 

Ordunque, Monti ci sarà, Berlusconi pure, e poi Ingroia, Grillo, Maroni, chi più ne ha più ne metta a lucrare sulla sofferenza degli italiani con la carica irresponsabile e pericolosa dei diversi populismi e opportunismi. Monti, si diceva, ha risposto a tutto questo con molte esitazioni e qualche goffaggine organizzativo-programmatica. Ma d’altronde non possiede un partito, e si trova a recitare un ruolo che probabilmente avrebbe volentieri evitato di svolgere. E allora la decisione criticata di non dar vita, alla Camera, a una sola lista (come sembrava che si fosse già deciso) da problema potrebbe diventare opportunità. La indeterminatezza programmatica della sua Agenda, chiarissima però nel considerare inderogabile la condivisione dell’orizzonte europeo (allo scopo di poter contare di più e di correggere la linea) può trasformare la sua “salita” in politica in un punto di partenza, che in tanti e con diverse sfaccettature possono contribuire a puntellare. Prescindendo da un nuovo personalismo Monti-centrico, come si è detto. In particolare, chi ha a cuore la nascita in Italia di un Partito Popolare Europeo deve  sperare che nel Pdl il coraggio di gente del calibro di Mario Mauro, Alfredo Mantovano, Franco Frattini, Isabella Bertolini e Giuliano Cazzola (praticamente il meglio che la cultura del Pdl abbia espresso in questi anni e colpevolmente sottoutilizzato) non resti espressione di gesti isolati. Sperando che anche Corrado Passera, superando le divergenze scelga di essere della partita. Magari al Senato, dove la lista unica che lui chiedeva, già c’è.

Ho letto sul Sussidiario critiche al presunto tradimento di Mauro. Mi permetto di dissentire nella maniera più convinta. Qui ci si dimentica che in Italia non si è mai modificato il regime parlamentare sancito dalla nostra Costituzione e che le riforme non si fanno con i giornali e le Tv. Un partito di governo,  se ci crede, ha i numeri per attuare l’elezione diretta del premier, ma deve farlo, non solo enunciarla. Ebbene, un capo del governo-leader di una coalizione se non ha il coraggio di rendere democratica la struttura che regge, se cioè non si rende espressione sul modello americano di una scelta popolare, deve essere consapevole che chi lo ha eletto (i parlamentari) hanno anche il diritto/dovere di non seguirlo se individuano deviazioni dalla strada concordata. Nel caso di Mario Mauro, per di più, non si può chiedere a una persona di andare a Strasburgo a rappresentare le istanze del Ppe e poi pretendere di essere ancora seguiti una volta che la strada diventa tutt’altra, modello Le Pen, per intenderci, e anti-euro. 

Inoltre, l’anomalia tutta italiana di un partito che si riunisce a casa del leader rende praticamente risibile ogni ipotesi di opposizione interna, tanto è vero che quando si è trattato di reperire le risorse per le primarie che avrebbero dovuto incoronare Angelino Alfano si è scoperto improvvisamente che i soldi non c’erano. E non si capisce davvero, a proposito di tradimenti, come Alfano possa aver accettato senza colpo ferire, deludendo chi aveva puntato su di lui, di sentirsi dire prima di non avere il “quid” per il comando, poi che non ci sono alternative al Cavaliere, e infine di vedersi negati i soldi per le primarie. Un vero e proprio tradimento a parti invertite, a ben vedere, di Berlusconi verso l’uomo che lui stesso aveva investito per la successione. 

Monti quindi potrà costituire, con l’ombrello della sua credibilità europea, il riparo sotto il quale potrà nascere anche in Italia un partito di radici popolari e cristiane, che prenda il meglio sin qui frantumato in più partiti, o fuori dalle istituzioni, da Mauro a Mantovano fino a Buttiglione, passando per i cattolici di Todi che hanno dato la loro disponibilità a impegnarsi per questo progetto, senza perdere per strada – fra i “laici” – il lavoro che sta portando avanti Oscar Giannino con “Fermare il declino”, un po’ snobbato dai media, ma attivissimo sulla Rete e sul territorio. Con argomenti tutti suoi ma per niente peregrini, volti al reperimento di risorse e di risparmi nella macchina statale senza i quali la crescita resta una chimera. 

Gli uomini di buona volontà dovrebbero contribuire a rendere questo progetto davvero credibile. Superando le diffidenze per un modello ancora informe e un po’ sghembo. Ma basta guardarsi intorno per farsi passare ogni dubbio. Il Berlusconi di questi giorni per chi lo ascolti sgombro da pregiudizi in un senso o in un altro è un poderoso incentivo alla fuga verso altre soluzioni per chiunque abbia a cuore il bene del Paese e delle future generazioni. Ora, il vero scontro di questa campagna elettorale sarà Berlusconi-Monti, per ottenere il ruolo di guida dei moderati, ammesso che Berlusconi-Lega possano definirsi tali.

Monti ha parlato di “vocazione maggioritaria”, ma poi ha lasciato intendere che la vittoria non la vede subito, al primo tentativo. Per stavolta potrebbe bastargli mettere Berlusconi in condizioni di non nuocere e offrire a Bersani una opportunità per sfuggire all’abbraccio mortale dei vari Vendola, Ingroia e Di Pietro. In un’alleanza-competizione che, dopo le urne, possa essere l’incubatrice di un bipolarismo normale, mite (come si dice) e portare nel frattempo il nostro Paese fuori dalle secche con una seria spinta riformatrice. Certo la crisi non aiuta il buon umore ma non si vede perché debba essere sempre l’Italia a contribuire a rallegrare l’ambiente con una politica che assomiglia a un circo. Forse è arrivata davvero l’ora della responsabilità: non è con i proclami, le barzellette e le frasi ad effetto che si cambia questo Paese. Che meriterebbe di meglio rispetto a come viene rappresentato.