La forma è sostanza, in politica più che altrove. E, da questo punto di vista, l’aggregazione di centro costituitasi sotto le insegne dell’agenda Monti, ha un indubbio pregio: la prossima competizione elettorale potrebbe non ridursi all’ormai classico bagno di sangue. Di sicuro, parte dei soggetti in campo cercherà di darsele di santa ragione, con l’unico scopo di annientarsi. Inevitabilmente, tuttavia, il solo fatto che ci sia un terzo schieramento connotato da ben altre prospettive abbassa il tasso di aggressività generale. E, in questa fase, di instabilità sociale, limitare al massimo il conflitto è una priorità. Per il resto, abbiamo chiesto a Mario Mauro come si connoterà il nuovo soggetto politico.

Lei era presente all’incontro tra Monti, Casini, Riccardi e Italia Futura. Cos’ha convinto il premier a sciogliere le riserve?

Diciamo che era arrivato all’incontro già convinto. La sua posizione nasce da un giudizio storico su questa fase della politica italiana, dove gli schieramenti, per 20 anni, non si sono confrontati per migliorare le condizioni del Paese, ma per prenderlo in ostaggio in nome della distruzione dell’avversario politico. A questo, si aggiungono le omissioni nell’azione dei governi precedenti rispetto alla capacità di andare incontro ai bisogni di famiglie e imprese.

Pensate realmente di vincere?

Se riflettiamo sulle ragioni che ci hanno spinto a dare vita a questa nuova aggregazione, sì.

Quali ragioni?

Da anni l’Italia non cresce. L’assenza di sviluppo, derivante anche dall’inazione degli ultimi due governi, ha posto le premesse per l’instabilità del nostro debito e per la crisi finanziaria. Per risalire la china serve la vittoria di forze politiche che promuovano riforme strutturali, secondo uno spirito costituente. Senza questi due fattori, difficilmente l’Italia potrà fare un passo avanti. L’alternativa è il ripristino dello schema Bersani vs. Berlusconi, ovvero lo stallo, la contrapposizione sterile a faziosa.

L’aggregazione di centro non sarebbe condizionata da questa prospettiva?

Ne rappresenta il superamento, e non solamente in termini centristi. In questa aggregazione, infatti, sono coinvolte figure riformiste di entrambi gli schieramenti.

Intanto, Passera vi ha lasciato.

Sono convinto che Passera darà tutto il sostegno possibile a questo nuovo soggetto politico. Personalmente, condivido la sua proposta di una lista unica, anche alla Camera. Creare una lista unica avrebbe rappresentato il passo definitivo per la costruzione di quel grande cantiere popolare necessario per la ricostruzione del Paese. Ma diverse liste al Montecitorio e una singola a Palazzo Madama mi sembrano già un ottimo punto di partenza.

Il governo uscente è percepito da gran parte degli italiani come quello che ha messo le mani nelle loro tasche e li ha penalizzati con riforme non richieste da nessuno (come quella delle pensioni). Perché i cittadini dovrebbe auspicare il ritorno di Monti?

Non dimentichiamo, anzitutto, che l’esecutivo ha operato nell’assoluta emergenza. E che è stato condizionato, nella sua azione, dalla sinistra. Inoltre, non si candida il governo Monti, ma Monti. Il quale sa benissimo che l’aggravio contributivo ha rappresentato l’extrema ratio per favorire il bene comune che, in questa fase, non poteva prescindere dal risanamento. Sa anche che, sanata l’emergenza finanziaria, restano quelle del lavoro e della crescita. Infine, si è messo in gioco facendo riferimento a personalità politiche ben precise che non possono essere identificate con il contenuto del governo che ha presieduto.

Mettiamo che il Pd si aggiudichi la Camera, ma non il Senato. A quel punto Bersani potrebbe allearsi con il centro e cedere il passo a Monti a Palazzo Chigi, in cambio dell’impegno, nell’arco di due anni, di prenderne il posto?

E’ fortemente inverosimile. Il Pd non si presenterà da solo alle elezioni, ma in coalizione con Sel. Ricordo che nelle famose dichiarazioni d’intenti delle primarie del centrosinistra, non vi è una sola parola rispetto al mantenimento degli impegni che definiscano la loro collocazione nel processo d’integrazione europea. La vocazione maggioritaria cui ha fatto riferimento Monti, quindi, è imprescindibile. Così come il fatto che dobbiamo concepirci come alternativi alla sinistra mentre, dall’altra parte, c’è qualcuno con cui si dovrà storicamente fare i conti.

Cosa intende?

Mi auguro che il principale partito del centrodestra, che nel ’99 mi attirò per la sua adesione al Ppe, riveda la sue posizioni. E che non pensi di aggirare la difficoltà di questa fase storica identificando nell’Europa la fonte dei mali. Che, casomai, rappresenta parte della soluzione ai problemi. Spero quindi che, posto che l’accordo con la Lega salti, decida un’alleanza con Monti.

Anche se l’Europa non è la fonte di tutte i mali, sta di fatto che si pone un enorme problema di cessione di sovranità ad un organismo non del tutto trasparente, e che potrebbe perseguire fini distanti dal bene dell’Italia.

Se l’Europa venisse meno saremmo esposti all’instabilità economica e travolti da quella polveriera che è l’area sud del Mediterraneo, mentre il problema dell’enorme quota di popolazione anziana dell’Italia non sarebbe sostenibile. Solo facendo massa critica attorno al progetto europeo possiamo intravedere delle prospettive economiche per il futuro. Non dimentichiamo che Francia e Germania si trovano, rispetto a tali questioni, in un rapporto di interdipendenza con noi.

Lei è così convinto del fatto che la Germania non preferisca l’indebolimento dell’Italia?  

Le cito solo un dato: la Germania ha esportazioni in Cina per 50 miliardi di euro. In Italia per 58. A cosa gli gioverebbe, quindi, il fallimento del nostro Paese?

Quindi?

Solo procedendo verso l’Europa federale, il cuore del progetto del Ppe, abbiamo la possibilità di essere competitivi con il resto del mondo. L’Ue sa bene che un’Italia debole indebolisce tutto il sistema.

Ammetterà che svariati gruppi finanziari ed economici non la pensano allo stesso modo.

Sicuramente, nel rapporto tra gli Stati, si è sempre posto un problema di interessi contrapposti tra i vari campioni nazionali dell’industria, della finanza o dell’energia. Ebbene, è proprio l’esistenza di strutture europee quali la Commissione a poter garantire tutti. In tal senso, la convenienza, dal nostro punto di vista, consiste nel poter sedere con autorevolezza al tavolo europeo per persuadere gli altri a non essere nazionalisti.

 

(Paolo Nessi)