L’ennesimo passo avanti per farne dieci indietro. Ovvero: premietto fisso di 50 seggi alla coalizione che prende tra il 25% e il 39% dei voti. Al 40%, scatta la soglia di attribuzione del premio di maggioranza. E’, in sintesi, la proposta Quagliariello. Che, nel merito, si sarebbe anche potuto prendere in considerazione, se non fosse stata avanzata con il palese intento di farla in barba al Pd. L’accordo sulla riforma è sempre più una chimera mentre si fa largo l’eventualità che nulla cambi. Roberto D’Alimonte, professore di Sistema politico italiano presso l’Università di Firenze ci spiega perché.
Il rischio che il banco salti definitivamente, secondo lei, c‘è?
Il rischio che non si riesca a raggiungere un accordo c’è, eccome. Perché quella a cui stiamo assistendo in Senato è una pantomima. Un rimpallo di proposte volte a far desistere il Pd dalla ricerca di un’intesa. D’altro canto, è sufficiente ripercorrere i recenti episodi per comprende la ratio degli eventi.
Ci spieghi.
Alcune settimane fa proposi una mediazione consistente in uno schema che prevedeva una soglia del 40% per far scattare il premio di maggioranza, e l’assegnazione, a chi non l’avesse raggiunta, di un premio fisso pari al 10%. Ma il Pdl non volle accettarla. Calderoli avanzò, in seguito, diverse proposte che condividevano, come principio generale, l’introduzione di più premietti di diversa entità, basati su un sistema di scaglioni: più voti avesse ottenuto la coalizione, e più alto sarebbe stato il premio corrispondente, calcolato sulla base dei consensi effettivi. Su questa ipotesi, nonostante il Pd non la considerasse la migliore, si stava raggiungendo una qualche forma d’intesa.
Poi, è arrivata la proposta di Quagliariello.
Esatto. Un’ipotesi del tutto analoga alla mia, salvo il premietto inferiore di circa l’1,8%. Ma che archivia la precedente proposta Calderoli, sulla quale si stava iniziando a ragionare; e che il Pd non potrebbe mai accettare. E questo il Pdl lo sa bene.
Perché non potrebbe accettarla?
Perché il premio previsto da Quagliariello è troppo basso. Non garantirebbe la governabilità, penalizzando la coalizione di centrosinistra che, presumibilmente, vincerà le elezioni.
In ogni caso, perché il Pdl non assume una linea e non la mantiene?
Il vero nodo politico risiede nel fatto che Berlusconi, ad oggi, non ha nessuna intenzione di portare a compimento la riforma.
Pare che preferisca mantenere lo schema invariato perché, con il Porcellum, potrebbe decidere lui i candidati del suo partito.
Le sue intenzioni sarebbero proprio queste. E’ pur vero che il Porcellum consentirebbe al Pd di ottenere quel premio che gli garantirebbe una maggioranza parlamentare.
Quindi?
Semplicemente, Berlusconi attende l’evolversi delle quadro; sia tenersi l’attuale legge che modificarla presentano dei pro e dei contro. E li sta analizzando tutti. La riforma elettorale, se si farà, si farà all’ultimo minuto dell’ultimo giorno a disposizione. Se, per intenderci, si votasse a marzo, dovrebbe essere varata entro i primi di gennaio.
Pare, in ogni caso, che neppure Bersani disdegnerebbe il mantenimento del Porcellum. Per gli stessi motivi di Berlusconi. E’ verosimile un patto tra i due per mantenere tutti invariato?
Un patto, no. Tutt’al più, una tacita convergenza di interessi.
Come reagirebbero gli elettori se la legge non fosse varata?
Molto dipenderà da come i partiti riusciranno a giustificare questa decisione, e da chi metteranno in lista. Sta di fatto che l’antipolitica è già montata ed è galoppante, l’astensionismo è elevato a prescindere dalla legge elettorale. Della quale agli elettori – nonostante sia decisiva per definire la governabilità di un Paese – interessa in realtà ben poco. Tanto più se hanno ben altri problemi, quali la difficoltà ad arrivare a fine mese.
(Paolo Nessi)