Le primarie del Pd hanno sancito, credo in forma irreversibile, la fine di un lunghissimo ciclo della meccanica dei sistemi di partito italiani. Quella meccanica che anni orsono Mauro Calise sintetizzò in quel capolavoro che è Il partito personale, e che io anni prima avevo confusamente identificato con il modello sudeuropeo delle aggregazioni politico-economiche neo-caciquistiche. In effetti, si è trattato di un lungo ciclo di neo-cesarismi contrapposti, formatisi per la disgregazione, prima per via autopoietica poi per via giudiziaria, dei partiti postresistenziali. La disgregazione autopoietica era iniziata con il centrosinistra, quando i partiti iniziarono a separarsi dall’elaborazione culturale e a unificare la politica trasformandola e cementandola insieme con gli arcipelaghi di potere personali.
Quello che era prima solo un arcipelago territoriale si innalza sino allo Stato disgregandone l’ordinamento con il neo-patrimonialismo. In questo modo, però, lo Stato perde la sua unità giuridica e compulsiva dal punto di vista dell’obbligazione morale, e gli ordini statuali si trasformano in poteri. Quello giudiziario, nel cortocircuito con la globalizzazione privatizzante e gli aggregati invisibili del potere economico, disgrega la macchina dei partiti sub specie lotta alla corruzione: un ordine, appunto, si trasforma in potere disgregante. E’ l’involuzione giudiziaria che distrugge e che perennemente minaccia la ricostruzione dei partiti. Questa prevalenza dell’ordine giudiziario rispetto agli altri ordini statuali permane. Ma ciò nonostante la disgregazione personalistica e neo-caciquistica sembra giunta alla fine.
Le primarie del Pd hanno avuto un vero trionfatore: l’intreccio tra organizzazione e militanza volontaria. Questo intreccio falsifica la tesi di chi vuole abolire il finanziamento pubblico dei partiti. Il finanziamento pubblico è consustanziale all’organizzazione, mentre il finanziamento privato, visibile o invisibile che sia, è consustanziale al personalismo neo-caciquista. Il bisogno di organizzazione è emerso prepotente perché è stato il letto del fiume della militanza volontaria. Bersani e Vendola hanno vinto perché interpretano questo sentimento di rivolta contro la politica come esclusione sociale e come oligarchia plutocratica che invece per vent’anni ha prevalso.
Bersani ha interpretato questo moto. Per questo ha vinto. Mi vengono alla mente le pagine di Considerazioni di un impolitico di Thomas Mann dove si descrivono le qualità del politico che emerge dalla disillusione e dalla rassegnazione, non perché ha carisma personale, ma perché interpreta il bisogno di aggregazione sociale nella politica, così come ci ha insegnato più di cento anni fa magistralmente Ostrogorsky.
Non a caso anche sul fronte opposto e magmatico del Pdl si assiste allo stesso processo e non a caso la più accesa sostenitrice della necessità delle primarie e dei fenomeni che loro sottostanno recentemente (queste ultime infatti nulla hanno a che vedere con quelle precedenti che erano fenomeni personalistici) è l’onorevole Meloni, la quale esprime una classica cultura di partito rank and file.
Si è chiuso un ciclo quindi e forse una delle cause che ha provocato questa chiusura sta anche nel regime bonapartista cui siamo sottoposti, con il Governo dei tecnici incompetenti. Ho sempre pensato infatti che il testo più interessante da leggere per capire l’oggi, oltre alla storia costituzionale romana, con la figura senatoriale del Dictator, sia Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte, del mai abbastanza compianto Karl Marx. Vivere in regime bonapartista, infatti, produce nel popolo, non nell’oligarchia plutocratica, o un’anomia crescente oppure una ribellione ascendente di bisogno di ritorno alla politica classica (rank and file, appunto), che Bersani ha saputo interpretare magnificamente. Lo capii quando, circa un anno fa, disse che se fosse stato candidato premier, per via dello statuto che si era dato il Partito democratico, non avrebbe voluto una lista con il suo nome.
In effetti, la politica come solidarietà e aggregazione umano-sociale produce anche effetti carismatici, non nel senso però plebiscitario ma invece relazionale-razionale. Questo mi sembra sia accaduto a Bersani che è cresciuto politicamente in modo straordinario in questo processo. Per questo c’è da augurarsi che anche il Pdl svolga le sue primarie e che trovi le energie di farlo con l’organizzazione e la militanza volontaria, superando ogni tecnicalità comunicativa massmediatica e oratoria.
Se ciò avverrà, non è detto che saremo in grado di liberarci definitivamente dal neobonapartismo, ma sicuramente lo saremo dall’irrazionale personalismo.