Ecco come finisce il ricorso del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: una autentica “sberla” della Corte costituzionale, metaforicamente parlando, alla Procura di Palermo, che esce “battutissima” da questa sentenza. Occorrerà conoscerne la motivazione, ma intanto si stabilisce che: “Non spettava alla Procura valutare la rilevanza delle intercettazioni telefoniche e omettere di chiedere al giudice l’immediata distruzione ai sensi dell’articolo 271 del Codice di procedura penale e con modalità idonee ad assicurare la segretezza del loro contenuto, esclusa comunque la sottoposizione della stessa al contraddittorio delle parti”.
Finisce in questo modo un “polverone” durato quasi un anno per le intercettazioni delle telefonate tra l’ex Presidente del Senato, Nicola Mancino, e il Capo dello Stato. Un polverone che ha alimentato una sequenza infinita di illazioni, allusioni, speculazioni su tutta la vicenda dei rapporti tra Stato e mafia, dove Mancino è stato indiziato.
A margine di tutta questa vicenda, forse occorrerebbe ricordare anche la morte, per crepacuore, del consigliere giuridico del Quirinale, il giudice Loris D’Ambrosio, che qualcuno ha già dimenticato o “messo in cavalleria”.
Il professor Stelio Mangiameli, costituzionalista e filosofo del diritto, docente di Diritto costituzionale all’Università di Teramo, ragiona freddamente, ma non risparmia giudizi netti sull’intera vicenda.



Che ne pensa professore?
Bisogna leggere la motivazione della sentenza e quindi aspettare. Ma non c’è dubbio che dal comunicato che si legge, la Corte costituzionale ha dato pienamente ragione al Presidente della Repubblica e la Procura di Palermo esce pesantemente sconfitta. Le questioni aperte erano se le intercettazioni fossero rilevanti o irrilevanti; se i magistrati dovevano farle subito distruggere. La risposta è che procura non poteva valutare il testo di quelle intercettazioni e non poteva iscriverle negli atti processuali, come ha fatto.



Non hanno osservato l’articolo 271 del Codice di procedura penale.
Questo è quanto si trae dalla sentenza della Corte costituzionale.

Ma da quanto scritto dalla Procura di Palermo si paragonava l’immunità del Presidente a quella di un sovrano, di un re…
La persona del sovrano, del re, era sacra e inviolabile. Non è questo il caso del Presidente della Repubblica, che in tutti i casi non si può prendere per il bavero e dargli una scrollata. Esistono dei limiti alla inviolabilità del Presidente, quando compie un attentato alla Costituzione o è reo di alto tradimento.



In più Napolitano parlava a Mancino nella sua funzione di Capo dello Stato.

E’ vero. Non erano telefonate di Mancino a casa di Napolitano che chiedeva di “Giorgio”. Ma di Mancino che telefonava al Quirinale parlava al Presidente della Repubblica. 

Quindi è stato fatto un “polverone” per un anno, gettando discredito, mettendo a rischio la stessa correttezza tra organi costituzionali. 
Sono d’accordo con questa immagine del “polverone”. E vorrei aggiungere che, oltre che battuta e sconfitta, la Procura di Palermo si è mossa con arroganza. In più ha costretto il Presidente della Repubblica a ricorrere alla Corte costituzionale. Non è stata una bella storia.

(Gianluigi Da Rold)