L’operazione “liste pulite” è a buon punto. Il governo ha emanato il decreto ha emanato il decreto legislativo sull’incandidabilità dei condannati che, adesso, il Parlamento deve ratificare. In tempi «rapidissimi», ha promesso il ministro della Giustizia Severino. E, va da sé, prima delle elezioni. La norma, in particolare, prevede che non siano candidabili al Parlamenti italiano ed a quello europeo tutti coloro che abbiano riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per reati di particolare allarme sociale (come mafia, terrorismo o tratta di esseri umani) e per quelli contro la pubblica amministrazione (concussione, corruzione ecc…). Per tutti gli altri reati, la pena accessoria scatta in presenza di condanne superiori ai 4 anni. Lo stesso discorso vale per cariche non elettive: presidente del Consiglio, ministro, vice ministro, sottosegretario, commissario straordinario di Governo. Il commento di Nicolò Zanon, professore ordinario di Diritto costituzionale presso l’Università di Milano.



Era proprio necessario varare un provvedimento del genere in una fase politica e d economica così convulsa?

Si tratta di un provvedimento definibile urgente rispetto alla necessità di ricostruire il rapporto tra la politica e i cittadini, nel tentativo di arginare i fenomeni dell’antipolitica. Non dimentichiamo, d’altro canto, che il governo si è limitato ad adempiere a quanto contenuto in una legge delega del Parlamento, attraverso un decreto legislativo. Si tratta, ovviamente, di una norma da licenziare prima delle elezioni. In caso contrario, assisteremmo ad una beffa.



Non sarebbe stato meglio se la politica si fosse riformata da sola?

In un Paese normale, regole di comune diligenza obbligherebbero tutti i partiti a esigere un passo indietro a chi è coinvolto in vicende giudiziarie. Del resto, se è vero che in Italia esiste un sistema tale per cui l’azione penale nei confronti dei politici viene esercitata, non di rado, in maniera disinvolta, lo è anche il fatto che la politica non ha fatto nulla per evitarlo: i fenomeni di corruzione della classe dirigente, anche a livello locale, sono frequentissimi. Insomma: laddove la politica è forte ed autorevole, contiene gli anticorpi al degrado in se stessa.



Cosa intende?

In altri tempi, per intenderci, non sarebbe stato pensabile lasciare nelle liste o in Parlamento persone sottoposte a indagini o, addirittura, condannate . Tanto più che il comune sentire non lo avrebbe ammesso. Oggi, invece, non vi è alternativa al provvedere emanando nuove norme giuridiche. L’incandidabilità è prevista nel caso di condanne definitive.

Se l’intento era quello di dare un segnale politico, non era preferibile prevederla anche per condanne in primo o secondo grado?

Nell’impossibilità di avvalersi dell’autoregolazione, del costume politico o della deontologia, si è deciso di procedere per via legislativa. A quel punto, non si è potuto fare altro che rispettare l’Ordinamento: una sentenza della Corte costituzionale del ’96 afferma che le limitazioni all’elettorato passivo e all’accesso a cariche pubbliche – ritenuti diritti inviolabili – possano intervenire so lo in caso di condanne definitive. Si tratta di un bilanciamento tra i suddetti diritti ed un’esigenza collettiva: quella per cui chi ricopre funzioni pubbliche , elettive o meno, deve poterle esercitare con disciplina e onore.

Il numero di anni di pena e le fattispecie di reato necessarie per far scattare l’impossibilità di candidarsi potrebbero essere stati decisi prevedendo chi sarebbe rimasto fuori dal Parlamento?

Non credo. L’importante, in ogni caso, è che la norma sia conforme ai principi e espressi ed ai criteri contenuti nella legge delega originaria.

Non ci si potrà candidare per il doppio degli anni di interdizione dai pubblici uffici a cui si è stati condannati. Come valuta questa scelta?

Ritengo opportuno che l’incandidabilità sia temporanea. Trattandosi della limitazione di un diritto inviolabile, è giusto poterlo riacquistare laddove non si sia incappati in nuove vicende giudiziarie. Sull’entità temporale del provvedimento, invece, credo che le commissioni parlamentari preposte daranno a suo tempo le ragioni della decisione.

 

 

(Paolo Nessi)