La legge elettorale, il caso Tosi a Verona e i congressi provinciali e nazionali. La Lega nord in preda alle convulsioni interne, divisa tra bossiani ortodossi e barbari sognanti maroniani, tenta di ridarsi una bussola in vista del voto di primavera.

Non è facile perché il governo Monti sta ridisegnando l’intero quadro politico, consumando rendite di posizione e vecchie certezze. Una volta a Bossi sarebbe bastato starsene un po’ all’opposizione, rifarsi una verginità, affrontare in solitaria un giro elettorale intermedio come quello amministrativo di primavera e poi, in vista delle politiche, riabbracciare magicamente l’amico Silvio.



Intendiamoci il vecchio leader ci prova, ne va della sua sopravvivenza politica: in questi giorni alterna lazzi e mini aperture verso l’ex premier e il suo Angelino Alfano. L’impressione è che, dipendesse da lui e da Roberto Calderoli, un altro giro di valzer con Silvio lo rifarebbero nel 2013. Il problema è che questa volta la quadra è complicata da mille variabili: una leadership interna contestata e ballerina, una base che non ne vuol sapere di tornare all’ovile con i berlusconiani e la fronda visibile e sempre più baldanzosa di Roberto Maroni che cresce sullo slogan vade retro Berlusconi: “prima va a casa Silvio, poi eventualmente con un Pdl deberlusconizzato ci si può parlare, sempre che possa esistere quel partito senza il fondatore”, ragiona un maroniano di ferro.



Tutti i rigurgiti e le buriane (in Parlamento) degli ultimi giorni passano in fondo da questa strettoia. Vedendo declinare la stella di Bossi, Berlusconi ha preso a battere altre strade, guarda persino a quei “comunisti” del Pd. L’obiettivo è arrivare a una nuova legge elettorale per blindare la tenuta dei due partiti maggiori, e quindi la sua sopravvivenza, tagliando le unghie alle estreme (Lega e Idv) e a un centro sempre più ingombrante e concorrenziale.

Un po’ ci gioca per stanare Bossi un po’ ci crede davvero, Berlusconi. Capisce che una stagione è finita, al pari dei generali padani, consci che un nuova legge rischierebbe di dimezzare la presenza verde in Parlamento.
A sua volta Bossi, per manovrare, ha bisogno di controllare il partito: lasciare tutto com’è senza le preferenze, permetterebbe almeno di fare le liste bloccate nel chiuso di casa sua a Gemonio: spuntare i ribelli e inserire i fedelissimi.



Nel frattempo dal voto di primavera arriveranno segnali importanti: si peserà la nuova Lega di lotta e di governo e la forza vera dei maroniani. Epicentro sarà Verona.
Il sindaco uscente Tosi vuole correre con una sua lista personale affiancata a quella del partito. Il Senatur e Calderoli non ci sentono: la popolarità del borgomastro che minaccia corse solitarie o addirittura di non correre, drenerebbe consensi al Carroccio dirottandoli sulla sua lista. A quel punto sarebbe lanciato per la corsa al congresso nazionale veneto, vincendolo in carrozza. Dopo la Lombardia i ribelli maroniani avrebbero fatto bingo: le due principali riserve indiane padane sarebbero in mano ai barbari sognanti.

Non è un caso che dopo aver dato luce verde alla stagione dei congressi, la nomenclatura del Carroccio stia facendo melina, rinviandoli all’autunno. Solo il tranquillo Piemonte di Cota andrà a congresso prima della tornata elettorale.
A meno che, sull’onda del plebiscito a Tosi, a furor di popolo i ribelli riescano a imporlo entro l’estate. Esattamente quel che vogliono evitare i bossiani ma, soprattutto, da qualche settimana, un attivissimo Calderoli.

L’ex ministro in passato ha guardato defilato la guerra tra “cerchio magico” e maroniani. Ora sembra aver fatto la sua scelta di campo pro Bossi, quasi sostituendosi al tandem Reguzzoni-Rosi Mauro. “Come in un videogioco, dopo due mostrini Bossi getta addosso a Maroni un mostro ben più grande per tentare di fermarlo”, usa la metafora un leghista di lungo corso.
Resta da capire quante vite rimangono sul display del partitone padano, prima che il famoso mostro non divori se stesso…