Da giorni si dibatte sul “terremoto” del Partito Democratico, come se ci fosse un prima e dopo Genova, la città in cui il Pd ha ottenuto l’ennesima sconfitta alle primarie. È un singolare paradosso quello di questa forza politica, come ha scritto Stefano Folli. Da un lato, infatti, il Pd è il primo partito, se si guardano i sondaggi, dall’altro è in preda a uno psicodramma, nonostante le rassicurazioni del segretario Bersani sulla risoluzione del “problema identitario” e del suo Dna.
Anche Claudio Sardo, direttore de L’Unità, non si nasconde dietro a un dito nel giudicare la sconfitta delle due candidate genovesi del Pd, ma pone questioni interessanti, decisive per il futuro della sinistra italiana anche nei suoi aspetti organizzativi. E, anche se fa notare che “le primarie fanno notizia solo quando a perderle è un candidato del Pd”, pone una questione di prospettiva.



Scusi Sardo, Genova è una città simbolo della sinistra ed è un’altra grande città dove, dalle primarie, salta fuori un candidato nettamente anti-establishment e comunque non indicato dal Pd.

Non c’è dubbio che sia una questione delicata. Ma io non condivido linee difensive, mi sembra importante andare al cuore del problema di questioni come queste che, indubbiamente, nelle grandi città si ripetono.



Queste primarie che riguardano tutto il popolo del centrosinistra sembrano un meccanismo inceppato, quanto meno contraddittorio.

È vero che le primarie estese a tutto il popolo del centrosinistra (qualcuno dice addirittura che sono le elezioni dei “passanti”) rappresentano indubbiamente una contraddizione. Se le primarie devono rappresentare elezioni che selezionano dei candidati, questo deve avvenire all’interno dei singoli partiti, nel caso specifico queste primarie dovrebbero essere quelle del Pd.
Il concetto di “primarie di coalizione” è già una contraddizione. I simpatizzanti dei singoli partiti, a mio avviso, dovrebbero indicare i loro candidati e poi dovrebbe iniziare la discussione tra i diversi leader.
La situazione che stiamo vivendo, invece, pone due questioni fondamentali.



Quali sarebbero?

Ci sono delle scelte politiche da prendere. La prima, il Pd scelga una linea politica autonoma. In altre parole navighi politicamente in piena autonomia, sapendo che a sinistra c’è un dieci, quindici per cento di sinistra alternativa, che ha posizioni più radicali.
La seconda opzione è che invece si decida di avere un rapporto con tutto il popolo del centrosinistra. In questo caso bisogna avere il coraggio di stare in un unico partito che abbia una connotazione riformista e che sappia governare al suo interno anche le istanze più radicali e più alternative.

Quale opzione preferirebbe lei?

Non ho dubbi in proposito, sceglierei la seconda. Ci sono esempi europei dove partiti di sinistra riformisti, che si uniscono intorno a un leader, penso ai laburisti inglesi per esempio, hanno al loro interno correnti radicali, alternative, fortemente anti-establishment. In tutti i casi, a parte l’opzione che io posso preferire, questo è il problema che si trova di fronte il Pd, che è un partito giovane, in formazione e che ha invitabilmente commesso degli errori.

Anche il Pd è probabilmente coinvolto, in senso ampio, nella crisi della politica italiana e non solo di quella italiana.

Ma certamente. La crisi della politica l’ha sofferta e la soffre soprattutto la sinistra. Di fronte alla ventata iperliberista di questi ultimi vent’anni, la sinistra ha commesso diversi errori, a volte è sempre stata timida e non ha dimostrato di avere gli anticorpi che, per esempio, ha avuto la stessa Chiesa.
Negli stessi confronti del liberismo senza regole di questi anni, un autentico pensiero critico è arrivato, a livello europeo, in questi ultimi anni.
Ma oggi sia Bersani sia il francese Francois Hollande, si sono espressi contro questa politica europea, questa ricetta sbagliata nell’affrontare i problemi. E pensano invece a un’integrazione maggiore dell’Europa, agli eurobond, per citare alcuni elementi di una nuova politica di sinistra.

Forse è arrivato il momento di una svolta decisiva, anche nei confronti di questo liberismo trionfante.

Personalmente credo che il fatto più importante è che il Pd sia impegnato a costruire un partito. Non esiste una democrazia senza i partiti, non esiste una democrazia senza corpi intermedi. È da una democrazia ramificata e partecipata che nasce il vero rinnovamento. Il liberismo che abbiamo conosciuto in questi anni pone l’individuo, solo, contro lo Stato. È fatto di Stato e individuo. Le grandi oligarchie finanziarie o di potere non vogliono corpi intermedi e partiti. È questa la battaglia che bisogna fare, affrontando anche le contraddizioni che si incontrano per strada.

(Gianluigi Da Rold)