Per la nota rubrica della Settimana Enigmistica, “Incredibile ma vero”, il terzetto più inaspettato, almeno fino a ieri, della politica italiana, quello formato da Alfano, Bersani e Casini (ABC, in sigla, come ormai li chiamano tutti i notisti politici) stanno per riuscire nel “colpo gobbo” più imprevisto di questo crepuscolo di II Repubblica ormai ai suoi attimi finali, esattamente a vent’anni da Tangentopoli e Mani Pulite, che (nel biennio di ferro e fuoco, paragonabile solo a quello del 1943-’45 o a quello del 1968-’69, e cioè il 1992-’93) decretarono l’ingloriosa fine della Prima, di Repubblica. Infatti, nello scetticismo generale, con un’opinione pubblica distratta dalla profonda crisi economica e sociale del Paese o preda dei puri conati dell’antipolitica (Grillo, Popolo Viola, Forconi, categorie in rivolta contro le liberalizzazioni), quasi peggiori di quelli che provocarono manifestazioni urlate, lanci di monetine e cappi sventolati in Parlamento quando, vent’anni fa, Mani Pulite venne accompagnata dalla collera e dall’indignazione popolare (per lo più sobillata da opinion leader e media, come ora), i tre segretari dei tre maggiori partiti italiani stanno incredibilmente riuscendo dove la Bicamerale di Berlusconi e D’Alema prima e gli accordi Berlusconi-Veltroni poi, fallirono miseramente. E cioè nel ridisegnare il volto alle istituzioni repubblicane.



Riforme costituzionali e nuova legge elettorale, infatti, potrebbero arrivare davvero – partiti “minori” come Lega da un lato e Idv dall’altro volenti o nolenti – entro la fine di questa legislatura, e cioè al massimo entro un anno. Il che vuol dire, tra l’altro, accordarsi in poche settimane, scrivere le riforme in pochi mesi e, saltata l’estate, farle approvare in doppia lettura congiunta da Camera e Senato entro fine del 2012. Non fosse altro perché, a Natale, comincia il semestre bianco del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il cui mandato scadrà a giugno del 2013, quando a eleggere il nuovo Capo dello Stato sarà, se non verranno sciolte prima le Camere, come ormai sembra altamente improbabile, il prossimo Parlamento, quello che – ove mai le riforme promesse venissero approvate – sarà tutto nuovo e rinnovato non solo nelle figure fisiche di deputati e senatori, ma pure nelle funzioni e nella composizione (così prevedono le riforme in campo) come mai era successo dalla stessa nascita della Repubblica italiana e dal varo della Costituzione, sostanzialmente immutata dal 1948.



Pdl, Pd e Terzo Polo avrebbero, dunque, grazie a un “vertice” mattutino quanto segreto e improvviso tra i loro tre, principali, leader (Alfano, Bersani e Casini: l’Abc, appunto) raggiunto l’accordo politico di massima per avviare l’agenda delle riforme, il cui iter partirà tra un paio, al massimo tre, settimane.
Dopo gli ultimi stop and go i leader della maggioranza “tripartita” (l’unico paragone storico possibile non è certo la “solidarietà nazionale” del 1976-’79, quando il Pci garantiva solo un appoggio esterno ma, appunto, il “patto tripartito” tra Dc, Psi e Pci che governò l’Italia nel 1945-’47) hanno infatti deciso di mettere un punto al capitolo delle riforme suggellando un patto che, nonostante il diffuso scetticismo di commentatori e opinione pubblica, è di ferro. Le riforme costituzionali partiranno subito per avviare la fine del bicameralismo perfetto, introdurre il principio della sfiducia costruttiva e quello della nomina e revoca dei ministri da parte del premier. E, soprattutto, per ridurre il numero dei parlamentari: i deputati dovranno essere circa 500 e i senatori 250, anche se il numero definitivo dipenderà da una serie – allo stato non prevedibili – di fattori, non ultimo quello della ripartizione dei collegi elettorali sulla base della nuova legge elettorale. Poi, presumibilmente, nella pausa che si aprirà tra la prima e la seconda lettura delle (nuove) “Grandi Riforme” si inserirà anche la riforma della legge elettorale, la quale presumibilmente verrà dettagliata e varata dopo la pausa estiva, ad autunno del 2012. “Pensiamo di potercela fare entro la legislatura” promette il segretario del Pdl, Angelino Alfano. E spiega: “Procederemo con una priorità, le riforme istituzionali. La legge elettorale la faremo subito dopo, così  da tener conto del nuovo numero dei parlamentari”.



Il “percorso” individuato, però, già insinua qualche dubbio tra i democrat che – pur se sottovoce per non incrinare l’intesa appena raggiunta – paventano il rischio che il Pdl stia covando solo una sorta di ‘melina’ parlamentare per poi abdicare una riforma vera e propria del voto ripiegando su semplici ritocchi al Porcellum. In attesa di riscontri e concretezza, “ABC” sono però riusciti a partire. “Tutti parlano con tutti, anche di riforma elettorale” mette le mani avanti il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, che poi riconosce: “qui il discorso è un po’ più complicato, ma devo dire che anche qui qualche passo avanti sta avvenendo”. L’accordo, tutto politico, “aprirà una fase di autoriforma dei partiti” dichiara entusiasta il leader centrista Pierferdinando Casini, sicuro di essere a un punto di svolta decisivo: “Dopo le parole passiamo ai fatti!”, assicura. Del resto, è Casini il leader sicuro di poterci guadagnare di più, da tale accordo, e non a caso proprio sabato scorso, a ridosso del vertice, annuncia che il prossimo congresso dell’Udc aprirà una fase “costituente” per andare anche molto oltre lo stesso Terzo Polo e costruire quel Partito della Nazione in cui Casini è sicuro di convogliare anche esponenti di primo piano dell’attuale governo (Corrado Passera in primis) se non lo stesso Mario Monti. Ora, però si tratta, come dice Bersani, “di prendere il ritmo del Parlamento”: in vista ci dovrebbe quindi essere la convocazione congiunta dei capigruppo di Montecitorio e Palazzo Madama per mettere a punto il calendario concreto delle riforme da fare. E prima ancora, come propone il vicepresidente del Senato, Vannino Chiti, si potrebbe riportare l’intesa in Parlamento, trasferendo i contenuti dell’accordo in una mozione di indirizzo.

Il tempo necessario per approvare una riforma della legge elettorale c’è”, assicura il presidente della Camera, Gianfranco Fini, sperando “di non peccare di ottimismo”. Anche il presidente del Senato, Renato Schifani, è fiducioso: “La forte accelerazione da trasferire in Parlamento. I tempi sono stretti ma ce la si può fare”.
Si è aperta una nuova fase in cui sarà possibile discutere in Parlamento e riforme” afferma persino Massimo Donadi, capogruppo alla Camera di un partito, l’Idv, che – come la Lega Nord – si è ‘tirata fuori’ da sola dall’appoggio a Monti come dal tavolo. I dubbi concreti dei commentatori come degli stessi parlamentari sono sulla concreta e reale diminuzione del numero dei parlamentari: in teoria, la cosa più semplice, in pratica la più difficile, dato che, si sa, “i tacchini non amano festeggiare il Natale”. Infine, il numero dei parlamentari influirà anche sul sistema elettorale che verrà scelto, per il quale si torna a parlare del modello tedesco.
“A noi non piacciono le preferenze, ci piacciono i collegi e vogliamo venga riaffermato il bipolarismo, ma in forma più mite, senza meccanismi iper-maggioritari”, afferma (criptico) Bersani. Che poi annuncia: “Potranno fare gruppi solo le forze che si sono presentate alle elezioni”. Il che, a proposito di casi di mala-politica, come quello di Luigi Lusi, l’ex tesoriere della Margherita, dimostra, dovrebbe voler dire cambiare anche, contestualmente, anche il meccanismo di finanziamento dei partiti (diverse le pdl presentate sul tema) e quello dei rimborsi elettorali. Un bel programma, non c’è che dire. Forse troppo.