Dobbiamo uscire dal bipolarismo di coalizione perché ha garantito la possibilità dell’alternanza, ma non ha obiettivamente realizzato una reale governabilità. I sistemi elettorali strabici che abbiamo avuto hanno inserito clausole di sbarramento bassissime purché ci si inserisse nelle coalizioni maggiori; per di più, chi si univa nel voto poteva poi dividersi in Parlamento: il risultato è stato l’immobilismo sostanziale delle coalizioni di governo che, al massimo, sono riuscite a colpire un po’ le constitiuencies elettorali della coalizione opposta. Non si può incentivare al tempo stesso frammentazione e bipolarismo pena la moltiplicazione dei poteri di veto nella coalizione vincente.



Non dobbiamo però cadere in una palude proporzionalista giacché se scegliessimo un sistema proporzionale puro, anche con la correzione di uno sbarramento limitato, ci troveremmo di fronte a un Parlamento balcanizzato in cui alla fine, per tenere insieme il tutto, saremmo costretti a una Grande Coalizione permanente, a governi tecnici a ripetizione, senza possibilità di alternanza. Per questo il sistema tedesco non è un riferimento: esso può fotografare un bipolarismo che c’è, ma non lo incentiva in alcun modo. Rischia di portarci nella Germania di Weimar, non in quella di Bonn.



Il tema è quindi (al di là della questione della scelta dei candidati che si può risolvere con un mix di collegi uninominali e liste corte) come transitare da un bipolarismo di coalizione a un altro fondato su grandi partiti a vocazione maggioritaria, intorno a due pilastri di sistema di norma alternativi, intorno ai quali possano formarsi coalizioni con uno o al massimo due partiti minori, non solo sbarrando alle micro-formazioni, ma anche spingendo le altre ad aggregarsi. Non è detto, tuttavia, che i grandi partiti siano quelli di oggi: il sistema deve incentivare i grandi partiti, ma i padroni del gioco sono gli elettori.



In Spagna governa oggi il Pp che in origine era la terza forza e che poi ha soppiantato un’altra formazione quale alternativa moderata al Psoe. Non ci sono rendite garantite per nessuno. In tal senso, il sistema elettorale riveste certo un ruolo decisivo, ma va coordinato con altri tre strumenti. Anzitutto i regolamenti parlamentari, perché il diritto parlamentare non divida ciò che il corpo elettorale ha unito. Quindi stop a nuovi gruppi in corso di legislatura. I Gruppi sono solo quelli che corrispondono a liste presentatesi agli elettori, per gli altri c’è il Gruppo Misto.

Quindi, ci sono le riforme costituzionali e qui vi è bisogno di un rafforzamento ordinato del Governo e della sua stabilità. Infatti alcune deformazioni degli anni passati (come il ricorso costante  a decreti, alle fiducie con maxi-emendamenti) erano un modo anomalo di rafforzare di fatto un governo debole, privo di una reale corsia preferenziale e lo stesso conflitto di interessi era una scorciatoia extra-politica per disciplinare le coalizioni. Qui più che la sfiducia costruttiva la vera norma stabilizzante è la possibilità (prevista ad esempio in Germania all’art. 68) di poter chiedere elezioni anticipate quando il Presidente del Consiglio perde sulla fiducia, richiesta che ha rapido seguito a meno che il Parlamento in tempi brevissimi non esprima un nuovo Premier. Così, sempre per stare in Germania, Schroeder fece approvare al suo alleato minore, i Versi, le riforme economiche e l’intervento in Afghanistan che pur non condividevano, dato che essi non volevano provocare elezioni anticipate per propria colpa.

L’ultimo strumento, che si utilizza ordinariamente in altre democrazie, sono le convenzioni costituzionali, i patti espliciti tra le forze politiche, assunti anche con una certa solennità. Non sono giuridicamente vincolanti, ma sono impegni che è difficile disattendere pena una perdita radicale di credibilità di fronte agli elettori. Questo strumento potrebbe in particolare risolvere due problemi: quello della spettanza al partito più grande di una coalizione della guida del Governo (principio disatteso al termine della prima fase della Repubblica) e quello di un capovolgimento molto significativo del segno politico della coalizione al Governo durante la legislatura che la sfiducia costruttiva di per sé non impedisce (i Liberali tedeschi passarono nel 1982 dall’alleanza a sinistra con la Spd a quella a destra con la Cdu, ma si sentirono in dovere di andare ad elezioni dopo sei mesi). A fine legislatura i segretari dei partiti potrebbero stipulare un patto solenne per chiarire che nella nuova che si aprirà nel 2013 la guida della coalizione sarà comunque espressa dal partito di governo più votato e che in caso di radicale cambiamento di Governo nella legislatura si andrà a votare entro pochi mesi o comunque un anno.

Tornando al sistema elettorale: al di là delle specifiche tecniche, occorre farlo funzionare come le aliquote fiscali. Abbiamo bisogno di un sistema elettorale che funzioni non solo con uno sbarramento, ma anche con una progressività analoga alle aliquote Irpef. Un conto infatti è adottare alla base una formula proporzionale per trasformare i voti in seggi, cosa che appare oggi politicamente inevitabile, un altro conto è spappolare il sistema in una serie di feudi segnati dalla proporzionale pura che rendano impraticabile il bipolarismo.

Ciò che occorre è quindi un sistema che individui un punto medio di equilibrio, leggermente sopra il 10%, in cui vi sia una rispondenza quasi perfetta tra voti e seggi (esempio 12% dei voti col 12% dei seggi), che al di sotto penalizzi la frammentazione presente e incentivi a ulteriori aggregazioni (esempio 9% dei voti e 7% dei seggi) e che al di sopra abbia il funzionamento opposto (esempio il 30% dei voti e il 34% dei seggi).
Su questo tipo di esigenze in pochi mesi, anche nell’intervallo tra una prima e una seconda lettura delle riforme costituzionali, potrebbe maturare senza grandi problemi un consenso tra tutte le forze parlamentari più responsabili, anche oltre la maggioranza di governo.

 

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