Il cosiddetto patto Abc (Alfano, Bersani, Casini) viene letto da diverse inclinazioni e prospettive. Riscriverà davvero le regole della nostra democrazia? Aprirà le porte della Terza Repubblica o ci farà tornare alla Prima? La politica si sta autodeclassando a tecnica elettorale o si sta riprendendo il ruolo che aveva perso? Un dibattito che, secondo Piero Ostellino, è segnato da un’enfasi eccessiva. «È assolutamente naturale che le principali forze politiche provino a mettersi d’accordo sulla legge elettorale e sulle riforme istituzionali – spiega Ostellino a IlSussidiario.net –. Vedremo che comune denominatore troveranno. Detto questo, vedo dei partiti senza più una leadership e un’identità che provano a contendersi Monti e i suoi ministri. Lo spettacolo è piuttosto patetico, anche perché quella dei tecnici è e deve rimanere una parentesi».



La crisi dei partiti durerà ancora a lungo?

Sia a destra che a sinistra manca un’identità culturale e politica. Nel primo caso perché Berlusconi, l’“uomo solo al comando”, oggi non ha più la possibilità e la forza di incidere, nel secondo semplicemente perché Bersani non l’ha mai avuta: è una foglia al vento. E così, entrambi cercano di aggrapparsi al personaggio del momento, Monti o Passera che sia.



Anche se secondo lei è una parentesi, quella di Monti è una transizione che però non potrà lasciare immutato il quadro politico.

Io resto dell’idea che non debba cambiare il sistema. Il governo dei tecnici è stato chiamato per rispondere a un’emergenza. La democrazia è stata temporaneamente “sospesa”, dato che questo governo non risponde a un elettorato. È una situazione anomala e per sua natura temporanea.
Non sto dicendo che Monti sia un tiranno. Incarna soltanto la figura del “Dittatore romano”, quello che prende in mano la Repubblica, la rimette in ordine e poi la riconsegna al Senatus populorum.



Come giudica la possibilità di un ritorno al sistema proporzionale?

Da anglofilo, rimango dell’opinione che il sistema bipartitico (o quantomeno un bipolarismo con partiti egemoni) sia il più corretto. In quel quadro la gente sa chi vota e chi governa in base al programma presentato. Altrimenti si torna alla frammentazione di un tempo.

Potrebbero formarsi, secondo lei, un blocco popolare e uno socialdemocratico? Nel Pd il dibattito è aperto.

Dubito che si possa tornare alle vecchie famiglie politiche. “Mani pulite”, di cui ricorrono i vent’anni, ha spazzato via tutto. Persino i comunisti, quelli che teoricamente si erano salvati, non sono più quello che erano un tempo. E così la politica sembra svolgersi solo a livello locale.
Per quanto riguarda il dibattito sulla socialdemocrazia, invece, sono anni che ne discutono, ma non mi farei troppe illusioni.

Cosa intende dire?

È la terza via tra comunismo e liberalismo, una sorta di “comunismo democratico”. Il che vuol dire: direzione dello Stato nella programmazione economica e nella politica industriale. La stessa ricetta che ha portato al fallimento tre paesi per eccesso di spesa pubblica.
Vede, la vera notizia di oggi a mio avviso è che il risparmio è scomparso. Se dovessimo dare retta a Keynes però, ogni dollaro che rimane in banca è un disoccupato in più sulla strada. D’altronde era solo un inglese snob, innamorato dell’Unione sovietica, che sognava di fare l’economista del Terzo Reich…

Tra i democratici comunque è in discussione la linea Monti: è davvero compatibile con il centrosinistra? Bisogna evitare di “regalarlo alla destra”, anche se sulla riforma del lavoro andrà avanti senza i sindacati? 

A mio avviso esprime la linea della spesa pubblica e delle tasse. Di certo non farà quello che Berlusconi avrebbe dovuto fare, ma che non ha fatto in questi anni. Non ridurrà le spese dello Stato e della Pubblica amministrazione e probabilmente farà una nuova manovra. I fischi a Napolitano, che non condivido, ci dicono però che la gente inizia a essere stanca.
Per quanto riguarda la riforma del mercato del lavoro, invece, ha indicato la direzione giusta. Se vogliamo che si torni a investire in Italia bisogna riformare, il che non vuol dire licenziare ad libitum ovviamente, ma dare garanzie economiche a chi viene licenziato per ragioni obiettive, comprese quelle economiche.

Per certi versi, quello che sta accadendo in Grecia deve servire come monito?

Direi di sì, anche se non credo che sarà quello il nostro destino. Siamo un paese fondatore e abbiamo un debito tutto interno. Il pericolo bancarotta a mio avviso non esiste, anche se è stato usato per giustificare quest’ultimo giro di vite.
Se vogliamo allontanare davvero il fantasma greco dobbiamo però ridurre di un terzo le dimensioni dello Stato, liberarci del demanio pubblico, rivedere la giustizia civile e penale e abbassare la tassazione.
Il ceto medio è la spina dorsale di una democrazia liberale ed è ora di smetterla di massacrarlo.

(Carlo Melato)