«No, non rappresento né le banche né il capitale finanziario, come qualcuno umoristicamente crede o grida». Della serie: nel loro piccolo anche i nonnini sul Colle – sia detto con rispetto e deferenza – si incazzano. Prima o poi doveva accadere, e a Giorgio Napolitano di essere contestato è accaduto dopo sei anni di onorato servizio al Quirinale, nel corso della sua ultima visita in Sardegna. Tanto da essere indotto a replicare, come per un improvviso moto di indignazione, fuori protocollo.
L’isola, come tutto il Mezzogiorno, vive un momento particolare, e a frange già stabilmente orientate verso la protesta (studenti ultra-pacifisti e autonomisti sardi) si sono aggiunti i disoccupati con grida offensive, mai sentite prima nei confronti dell’attuale capo dello Stato. A ben vedere però Napolitano non è stato attaccato per cose dette o provvedimenti promulgati, quanto per l’avallo istituzionale dato a quello che tutti definiscono – non senza ragione – come il “governo del presidente”. In sostanza, si attacca Napolitano per aver voluto Monti.
E allora, non giriamoci intorno: vogliamo fare i berlusconiani ora che persino Berlusconi non lo fa più, o i comunisti ora che anche la Camusso e Bersani provano a voltare pagina? La domanda da fare – allora – agli ultrà di destra e di sinistra che attaccano il governo è la seguente: preferivate fare la fine della Grecia? Pensate davvero che potevamo resistere a lungo con un differenziale da pagare sui titoli di Stato stabilmente oltre i 500 punti? Eravamo finiti, insomma, in mano agli usurai, la bancarotta era a un passo. E semmai si tratterebbe di rendersi conto, ora, che non la tempesta non è ancora superata e l’esito dell’operazione Monti non è affatto scontato.
Pur tuttavia i risultati già raggiunti sono oltre ogni attesa: il nuovo premier ha riguadagnato la scena internazionale e lo ha fatto usando grande rispetto verso il predecessore, che infatti gli è grato e gli promette sostegno duraturo.
I partiti che sino a ieri si facevano la guerra oggi sostengono unitariamente le misure necessarie messe in campo per tentare di uscire dall’emergenza. Molte delle quali, a dire il vero, potevano essere pensate già prima, come la lotta agli evasori. Invece di concedere loro il 4 per cento di aliquota sui capitali scudati, invece di concedere – incredibile – ai condonati di farla franca penalmente pagando solo la prima rata.
Si ironizza sui guadagni dichiarati da questi ministri e non si coglie un dato essenziale: finalmente al governo ci sono persone che avrebbero avuto di meglio da fare e invece hanno offerto una competenza al loro Paese. “Presidente dei banchieri”, hanno gridato a Napolitano a Cagliari. L’allusione al ministro dello Sviluppo Corrado Passera è ben evidente. Embè? Uno che proviene dal vertice di una banca non può fare il ministro? E perché mai? Quali sarebbero, verrebbe da chiedere, le professioni da cui sarebbe lecito provenire per poter fare il ministro? Al contrario, non è un titolo di merito – chiedo – poter vantare esperienza da alto manager da mettere al servizio del bene comune, non c’è semmai da sperare che chi ha rivoltato le vecchie e obsolete Poste italiane possa inventarsi qualcosa di buono anche per tutti noi? Governo dei banchieri? Magari fosse, magari lo stile Passera diventasse un modello anche per gli altri.
Non l’abbiamo sentito parlare di “sfigati” che si laureano a 28 anni (Martone dixit), di giovani che vogliono il posto di lavoro vicini a mamma e papà (Cancellieri dixit), di posto fisso noioso (Monti dixit, salvo poi scusarsi ricordando i milioni di giovani che un posto di lavoro degno di tal nome non sanno neanche cosa sia). E neanche, come la Marcegaglia, di sindacato che difende i malviventi, nel pieno di una difficile trattativa peraltro, proprio coi sindacati.
A differenza della multi-esternatrice Fornero e degli altri protagonisti della scena l’ex numero uno di Poste italiane e Banca Intesa di interviste ne ha rilasciate poche e in quelle poche ha evitato pianti dirotti (Fornero) o parole poco sobrie.
Evidente la scommessa, vissuta da Passera in silenzio e umiltà, altro che governo dei banchieri: aspettare che i provvedimenti sulla crescita, gli sgravi e gli incentivi alle imprese, inizino a dare risultati. Ce la farà? Dobbiamo sperare tutti insieme di sì, e in tal caso – ne sono convinto – di Passera continueremo a sentir parlare. Perché due sono i casi. O il governo fallisce, a allora non ce n’è per nessuno, nel senso che non si salva nessuno. O il governo, viceversa, riuscirà a scollinare, e in tal caso non ce n’è per nessuno lo stesso, in senso inverso. Nel senso che di fronte a un miracolo di tale portata realizzato in pochi mesi, come potranno pensare i partiti di potersi riprendere la scena tali e quali come prima, come se niente fosse accaduto?
Come sarà possibile non “premiare” Monti con il Quirinale, modello Ciampi, e il più autorevole dei ministri (Passera) con la riconferma? Scommettiamo, anzi: se il governo ce la farà scatterà la gara fra i partiti ad adaccaparrarsi la continuità, e Passera ne sarà il simbolo. Ma la strada è ancora lunga: sulle tante aziende che chiudono senza motivazioni (Sigma Tau, Omsa, Alcatel per fare alcuni esempi) lasciando le famiglie per strada bisogna inventarsi qualcosa, non si può assistere senza reagire a simili scempi economici e sociali.
Una risposta non facile eppure irrinunciabile, quel silenzio del ministro dà probabilmente l’idea della sua consapevolezza della posta in gioco. Per lui personalmente e per il Paese tutto. Vie di mezzo non ce ne saranno, e noi ci sentiamo di scommettere, con prudenza: ce la faremo. E, in tal caso, dovremo pronunziare un enorme grazie a Napolitano, altro che presidente dei banchieri.