Le scuole paritarie che svolgono la propria attività con modalità «concretamente ed effettivamente non commerciali» saranno esenti dall’Imu. Il presidente del Consiglio, Mario Monti, ha risposto con queste parole alla trasversale richiesta di chiarezza che era giunta dalla politica nei giorni scorsi, intervenendo ieri in commissione Industria al Senato. «È un passo in avanti, anche se la confusione sul tema non è ancora del tutto dissipata – commenta Paolo Franchi, intervistato da IlSussidiario.net –. Sul fatto che le attività esclusivamente commerciali e a fine di lucro dovessero pagare l’Imu, infatti, non credo che ci siano dubbi, e le parole della Chiesa stessa in questo senso erano state chiarissime. Il punto che doveva e dovrà essere chiarito in maniera esauriente riguarda invece, nel concreto, la ricaduta di questi provvedimenti sulle attività a valenza sociale presenti nella società. Sull’argomento, purtroppo, paghiamo un grave ritardo. In Italia, infatti, tutta l’”area della sussidiarietà”, non ha infatti ancora un riconoscimento giuridico, istituzionale e culturale adeguato».



Ci spieghi meglio.

Se vogliamo evitare di rimanere intrappolati ogni volta in una discussione sul Vaticano e sulle cosiddette “scuole dei preti”, bisognerebbe prestare molta più attenzione a ciò che è o non è sussidiarietà, in modo da distinguere ad esempio tra chi gestisce una scuola elitaria che chiede rette milionarie ai suoi studenti, e chi invece svolge un servizio aperto a tutti. Nel primo caso, infatti, non penso che siano necessarie particolari esenzioni, nel secondo, invece, lo Stato dovrebbe valorizzare maggiormente una società che arriva dove lui stesso non riesce più a spingersi.



In questo senso, la chiusura dell’Agenzia del Terzo settore, decisa durante l’ultimo Consiglio dei ministri, sembra andare in un’altra direzione?

Direi proprio di sì. Non solo, a mio parere segnala una visione. Ho l’impressione, infatti, che nell’orizzonte della cultura dominante di questa fase politica ci sia una sorta di mercatismo puro che non ammette eccezioni e che non coglie quelle preoccupazioni che il mondo cattolico o socialista hanno, pur arrivandoci a partire da percorsi diversi. Non è la prima volta, tra l’altro, che questo salta all’occhio.

A cosa si riferisce?

Ad esempio al falso egualitarismo che segue le logiche di Bruxelles secondo cui l’equiparazione delle pensioni delle donne sarebbe una vittoria in termini di parità sessuale.
Io resto infatti convinto del fatto che le mamme di oggi, che nella maggior parte dei casi si prendono cura dei genitori anziani, dei figli trentenni e dei relativi nipotini, in realtà siano in credito rispetto allo Stato. Un debito, certo, difficile da risarcire. Chi però parte dall’idea che lo Stato non deve niente a nessuno e che la solidarietà è una concessione, basta che sia gratis, non si porrà nemmeno il problema.



Se anche i tecnici peccassero di mercatismo, non dovrebbe però scappargli il risparmio di 6 miliardi di euro procurato dalle scuole paritarie alle casse dello Stato.

Infatti sono convinto che lo sappiano fin troppo bene e che alla fine le cose si sistemeranno. Detto questo, la confusione di questi giorni non è stata positiva e, soprattutto, ha evidenziato ancora una volta che la politica, dopo una lunga stagione di autoreferenzialità, si trova a non avere una parte in commedia.
Di conseguenza non ci si può stupire per gli errori, le ingenuità e le arroganze comunicative dei professori. È un problema di vuoti e di pieni: la politica non è stata esautorata dall’“uomo nero”, si è autosospesa. E quando ha lasciato un vuoto, qualcuno, a modo suo, l’ha riempito. Chiamatela pure tecnica, ma è politica, o meglio, un’altra politica…

(Carlo Melato)

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