I partiti servono ancora a qualcosa? Sui giornali la domanda inizia lentamente a farsi largo davanti all’ipotesi di una “grande coalizione” che prosegua la cura Monti anche dopo il 2013.
Secondo il senatore democratico Marco Follini il tema però è un altro: la politica interpreterà questa legislatura come un “punto a capo” che aprirà un nuova fase o si illuderà di poterla considerare una mera “parentesi”? «A mio avviso, quello indicato da Follini è il vero nodo da sciogliere – spiega Antonio Polito a IlSussidiario.net –. I partiti infatti non scompariranno, anche se bisognerà vedere quale sarà la loro evoluzione. Di certo l’idea che si possano riproporre le facce, le sigle e la lotta di sempre non è credibile. Sarebbe più saggio, invece, che i soggetti politici, i leader e gli stili cambino radicalmente, come avvenne dopo l’esperienza del biennio ’92-94».
È questa la strada che secondo lei hanno intenzione di prendere i principali partiti?
Direi che qualche segnale in questo senso c’è stato. Da un lato Silvio Berlusconi ha dimostrato di essere il più lucido nel suo campo ammettendo che siamo davanti a un punto di non ritorno. Una considerazione che nello schieramento opposto ha fatto anche Walter Veltroni. Certo, poi ci sono anche quelli che resistono…
Come ad esempio?
Mi riferisco al segretario del Pd, Bersani, che si considera ancora il candidato premier di uno schieramento “all’antica”, alla Lega, oppure a quella parte del Pdl che non vuole che si tocchi la legge elettorale per restaurare al più presto l’“asse del Nord”, come se niente fosse.
Alfano ieri ha dichiarato che «al bivio tra la Lega e l’Italia il Pdl ha scelto l’Italia». Un’alleanza da considerare archiviata una volta per tutte?
A mio avviso il 17 marzo sarà l’ultima data utile per capirlo. Se, come probabilmente accadrà, le strade di queste due forze si divideranno in vista delle elezioni amministrative è difficile immaginare che potranno poi ritrovarsi per le politiche.
Le parole di Alfano, d’altra parte, mi sembrano chiare e partono da alcune ragioni a mio avviso fondate. La Lega Nord ha avuto infatti un peso enorme nel fallimento del governo di centrodestra. Ha giocato a rafforzare la figura di Giulio Tremonti e le sue ambizioni, mettendole in competizione con quelle del Presidente del Consiglio ed è stata la spina nel fianco di ogni ipotesi riformista. Ovviamente, la rottura dell’asse provocherebbe delle conseguenze a catena.
In che senso?
Innanzitutto in termini di legge elettorale. Se il Popolo della Libertà si ritrovasse con le mani libere potrebbe appoggiare senza problemi un sistema tedesco che non imponga la scelta delle alleanze prima del voto.
Nel frattempo al centro si torna a parlare del “Polo della nazione”.
C’è da dire che Casini lavora in questo senso da anni per cambiare nome, ragione sociale e dimensioni della sua forza politica. L’obiettivo è quello di costruire un soggetto liberale e di unità nazionale più ampio del “partito dei cattolici”, che sappia intercettare anche aree di destra e di sinistra. In questo senso Fini e Rutelli sono funzionali allo schema.
Il leader dell’Udc non può però illudersi di non avere concorrenti, a cominciare da Alfano. La battaglia al centro, infatti, sarà molto forte e probabilmente vedrà l’ingresso di nuovi protagonisti come Montezemolo.
Nel sistema politico che si andrà delineando la competizione è destinata a spostarsi al centro?
Se si va nella direzione di una Terza Repubblica costruita su un bipolarismo mite, e con un sistema istituzionale simile a quello degli altri paesi europei, penso che sia inevitabile.
L’importante, a mio avviso, è che non finiscano con il prevalere le faide interne che da anni dominano quel campo. Chi si presenterà al centro dovrà infatti dimostrare di aprirsi alla società e alle novità che si presenteranno, non di volersi riciclare.
E la sinistra, si sta attrezzando per la Terza Repubblica o inizia a temere che Monti sia solo una variante del centrodestra?
A mio avviso, ogni volta che si arriva al nocciolo della questione il Partito Democratico si dimostra incapace di risolvere i limiti della propria tradizione.
Non a caso oggi, mentre si affronta la riforma del lavoro, affiora il legame a doppio filo con la Cgil. Si può poi registrare un’altra novità piuttosto preoccupante.
Quale?
Vedo esponenti politici di primo piano del Pd, come il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, o il responsabile economico Stefano Fassina, dire esplicitamente che chi non segue la linea è meglio che vada un’altra parte. Nel mirino sono finiti infatti i riformisti, i moderati e i bleariani. Veltroni è stato addirittura accusato di essere “di destra” da Nichi Vendola…
Lo ha detto come leader di Sel però, non come democratico.
Ormai parla a nome della corrente interna che si è costruito nel Pd. Ad ogni modo è una deriva pericolosa per lo stesso Partito Democratico: di questo passo qualcuno se ne andrà davvero.
Alla base, probabilmente, c’è un disegno, un’ipotesi socialdemocratica che si basa sulle probabili vittorie dei socialisti e dei socialdemocratici in Francia e in Germania. Qualcuno spera di riaprire la partita sull’Euro, tornando ad allargare i cordini della spesa pubblica. E questo spiegherebbe, tra l’altro, lo scarso entusiasmo dimostrato da Bersani nei confronti di Monti.
Come giudica questa strategia?
Profondamente sbagliata perché costruita su due illusioni: da un lato quella di chi crede che sia in corso uno spostamento a sinistra dell’elettorato italiano ed europeo, dall’altro quella di chi è convinto che il Partito Democratico possa intercettarlo.
Così facendo, però, ancora una volta, il Pd non fa altro che rafforzare la sinistra che sta al di fuori dei suoi confini.
In realtà ci sono parecchie variabili in gioco, ma una certezza c’è.
Quale?
Al di là di chi lo guiderà, il prossimo governo dovrà inevitabilmente proseguire sulla linea programmatica indicata da Monti.
L’unica possibilità di investire passerà dal recupero di risorse dal debito e dal deficit. Nessuno può chiudere la famosa parentesi di cui parlavamo prima…
(Carlo Melato)