Prosegue, in seno ai partiti e all’opinione pubblica, il dibattito sulla legge elettorale. Una questione solo all’apparenza di natura squisitamente tecnica in grado, in realtà, di incidere sull’assetto della democrazia stessa e sulla vita dei cittadini. Da essa, infatti, dipendono, ad esempio, la governabilità del sistema, la rappresentatività degli elettori o l’alternanza tra esecutivi di segno opposto. Al momento i partiti stanno trattando. Tutti temono che, qualunque accordo si dovesse raggiungere, sarebbero in ogni caso obbligati a rinunciare a qualcosa di importante. Per questo, le trattative vanno a rilento. Abbiamo chiesto a Francesco Clementi in base a quali obiettivi ciascuna delle forze politiche in campo cercherà di far prevalere la propria visione. 



Quale sistema converrebbe maggiorante ai partiti maggiori?

Pd e Pdl avrebbero vantaggio entrambi a scegliere un sistema uninominale maggioritario; sono radicati in tutto il Paese e hanno una potenza di fuoco elettorale che li renderebbe, sostanzialmente, gli unici due partiti del nostro ordinamento.

E a quelli più piccoli?



Idv e Lega Nord hanno due opzioni: vendersi al miglior offerente. Attraverso un sistema elettorale puramente proporzionale potrebbero far pesare il proprio consenso elettorale trattando con il partito che offre loro di più. Non credo, tuttavia, che stiano attualmente sposando questa linea. Pare che preferiscano la seconda opzione: un maggioritario a doppio turno gli consentirebbe di sopravvivere in un sistema bipolare di alleanze certe. Nel primo turno ciascun elettore esprimerebbe  un voto di appartenenza; nel secondo voterebbe con la ragione, facendolo convergere sull’alleanza che si è venuta a determinare.



E, infine, all’Udc?

In un sistema proporzionale puro potrebbe anch’essa far valere il proprio peso trattando con il maggiorente di turno la propria partecipazione al governo.

Quale sistema si adatterebbe meglio al nostro Paese?

Il nostro Paese si è abituato a una logica bipolare che può essere ottenuta in due modi diversi. Forzatamente, attraverso uno strumento che non conceda speranze di sopravvivenza a chi non decide in quale delle due squadre stare. Tipicamente, è il caso del Porcellum, che determina la forzosità delle scelta attraverso il premio di maggioranza. L’alternativa è la sfida culturale di oggi; ovvero: si possono mantenere le virtuosità del sistema bipolare in maniera non forzosa?

Quali virtuosità?

Il fatto che il cittadino sa che uno schieramento governerà, mentre l’altro farà opposizione: il che proietta una serie di virtù, quali la trasparenza, la stabilità, la chiarezza per l’elettore.

Ebbene, è possibile?

E’ possibile che nasca dal voto degli elettori. Abolire il premio forzoso eliminando il matrimonio di convenienza è la sfida culturale del “Ceccantum”, la proposta di legge del senatore Ceccanti.

Perché proprio la sua proposta?

Prende il meglio del sistema tedesco, sposandone l’impianto di base proporzionale, tale per cui a voti corrispondono seggi (tecnicamente, il sistema è detto “fotografico”); e di quello spagnolo, sposando i fattori più virtuosi del maggioritario, prevedendo cioè una leggera sovrarappresentazione dei partiti più grandi, una equiparazione tra voti e seggi dei partiti medi e una leggera sottostima dei partiti piccoli.  

Su quale sistema crede che i partiti potrebbero trovare una convergenza?

Sul “Ceccantum”. Viene incontro, anzitutto, all’Udc, che rappresenta attualmente l’ago della bilancia. Gli consente, infatti, di incassare fotograficamente tutto ciò che guadagna. La presenza di collegi maggioritari rende il sistema molto più disponibile alla governabilità. Consentirebbe ai partiti più grandi, inoltre, grazie alle liste corte, di godere di effettiva rappresentanza, proporzionalmente al proprio peso.
Il sistema, inoltre dà per la prima volta applicazione all’articolo 51 della Costituzione, garantendo la formazione di liste elettorali che tengano oggettivamente presente l’alternanza di genere. Incentiva, infatti, attraverso misure economiche, l’utilizzo di strumenti per l’attribuzione delle candidature, altresì dette primarie, che terrebbeo conto dell’identità elettorale effettiva del Paese. 

(Paolo Nessi)