Il primo incontro tra Pd e Pdl sulla legge elettorale è stato piuttosto interlocutorio. Non mancano dei punti di convergenza, ma le ipotesi sullo sfondo rimangono molteplici. Il Partito Democratico per ora non vuol sentir parlare infatti né di correzione del Porcellum, proposta dalla Lega Nord, né di preferenze. Il tavolo del Popolo della Libertà rimane comunque aperto e vedrà sedersi oggi i centristi e gli altri partiti minori.
«Se l’obiettivo di Silvio Berlusconi è quello di avere i democratici come interlocutore principe per rilanciare il bipolarismo, il risultato non è affatto scontato» spiega a IlSussidiario.net Paolo Franchi, editorialista del Corriere della Sera e direttore del settimanale Ragioni. «Al di là delle tecnicalità, il Pd può avere una componente interna molto favorevole a questo scenario, ma dubito che un’ipotesi di quel tipo susciti l’entusiasmo di Pier Luigi Bersani».
Cosa intende dire?
Non è un caso che il modello ispano-tedesco nasca dal senatore Ceccanti, all’interno di quell’area veltroniana che crede ancora all’impostazione bipartitica del 2008.
La componente “maggioritaria”, fedele al segretario, dovrebbe invece rinunciare alla sua ipotesi di partenza: quella cioè di tentare fino all’ultimo un’alleanza con l’Udc, senza perdere per strada Vendola (e forse anche Di Pietro).
Non solo, la storia dimostra che in Italia un bipartitismo secco porta alla vittoria del centrodestra.
Infine, c’è un altro motivo valido per nutrire dei dubbi su questa possibile intesa.
Quale?
Un progetto di questo tipo potrebbero portarlo avanti i due partiti principali, se viaggiassero con il vento in poppa. Chi sente però il polso del Paese sa che non ci troviamo in questa situazione.
Al di là della discussione sul fatto se piaccia o meno a ciascuno il bipartitismo, chi può dire con certezza che alle prossime elezioni ci sarà ancora il Pdl? E lo stesso si potrebbe dire del Pd.
Insomma, è difficile scrivere le regole del gioco se non si sa nemmeno a che gioco si sta giocando e se gli stessi giocatori non sanno nemmeno se potranno o meno scendere in campo.
Se la trattativa non ha molte speranze di andare in porto, cosa ha spinto secondo lei l’ex premier ad avviarla?
Innanzitutto, con una mezza intervista rilasciata a Libero, ha smentito tutti quelli che lo davano per scomparso. E in questi giorni ha costretto tutti ad andare da lui a trattare.
Poi ha chiarito che non si ricandiderà. Credo che questa volta sia sincero, anche se è evidente che non vuole scomparire dalla scena, anzi, vuole difendere quello che ha fatto in questi anni.
Non sarà molto, ma è già qualcosa rispetto alla scomparsa dei partiti in questo periodo. I vari leader iniziavano a sembrare anime perse…
In questo senso sta cambiando il rapporto anche tra i partiti e il governo Monti?
Su questo fronte non vedo novità significative. I partiti, nessuno escluso, si nascondono dietro a questo governo. Del resto si sono autosospesi e lasciano che i tecnici svolgano i loro compiti, anche se, in sede di dichiarazioni, qualche scivolata la stanno prendendo: il posto unico noioso, l’articolo 18, il ministro dell’Interno Cancellieri che se la prende con chi lavora vicino a mamma e papà…
Forse Berlusconi cerca di sottolineare anche che questo governo qualche piccolo pasticcio lo ha fatto.
Può darsi, ma per ora non c’è nessuna ragione per cui si possa dire che il governo Monti abbia già concluso il suo mandato. La crisi economica è sempre grave e la crisi politica è davanti agli occhi di tutti.
Occorre aspettare. Berlusconi sarà anche uscito dal guscio, ma l’insieme dei problemi in questo momento mi pare molto più complesso.
Da ultimo, un suo parere sulla presunta fine dell’asse del Nord. Anche sulla legge elettorale, in poche ore si è passati dalla rissa alla tregua.
Sono convinto che tra Bossi e Berlusconi varrà fino alla fine il detto Simul tabunt simul cadent. Chi danneggia l’altro, fa del male a se stesso. La ricerca di un’intesa, con alterne fortune, continuerà ancora a lungo, almeno fino a quando comanderanno nei loro rispettivi partiti…
(Gianluigi Da Rold)