Saranno tutte da vedere le motivazioni della sentenza della Cassazione su quello che, da sedici anni, è “l’affaire Dell’Utri”. Un fatto però è chiarissimo: il procuratore generale della Cassazione, cioè l’accusatore, straccia la sentenza della Corte di Appello di Palermo che aveva condannato Marcello Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa e sancisce una sconfitta storica alla Procura di Palermo e al teorema che vedeva Dell’Utri come il mediatore tra mafia e Forza Italia.
La vicenda non è afffatto conclusa. È meglio che si stia zitti di fronte a questa lunga vicenda, ma alcuni capisaldi emersi dalla decisione della Cassazione si possono definire.
Andrea Pamparana, un grande cronista, attualmente vicedirettore del Tg5 traccia con chiarezza alcuni punti. Pamparana, dopo sedici anni, come si può commentare un fatto del genere? «È bene evidenziare alcuni punti, tenendo presente però che la questione non è ancora finita. Bisogna rifare il processo di appello. La conclusione è di là da venire. Certo, nella richiesta della Procura generale c’è un limite temporale rispetto ai fatti, che arrivano fino al 1992. E qui non si tratta tanto di prescrizione, per cui si voleva spostare un paio d’anni in più i fatti. Piuttosto c’è la sepoltura di un teorema. Marcello Dell’Utri è l’artefice, attraverso Publitalia, della creazione del partito Forza Italia, che nasce nel 1993. A questo punto, tutte le relazioni tra Forza Italia e la mafia, dove vanno a finire? Tutto quello che è stato detto in questi anni, tutto quello che è stato scritto, dove va a finire? Se dobbiamo dare un giudizio generale, possiamo dire che questa è una sconfitta innazitutto politica di portata storica».



Quali altri punti emergono, al momento?

C’è pure il coraggio del Procuratore generale Francesco Iacoviello nell’affrontare il reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Se questo reato ha un carattere piuttosto indefinito, c’è certamente da dire che è servito ai tempi di Falcone e Borsellino, che volevano guardare all’interno di quella zona grigia che sta intorno alla mafia. Oggi la situazione appare diversa e diventa inaccettabile quando se ne fa un ricorso continuato di carattere politico. È sostanzialmente questo che la Cassazione fa intendere, quando stabilisce che questo processo va rifatto.



Anche se la vicenda non è terminata.

Sono d’accordissimo. Che cosa significa tutto questo per un uomo di 70 anni come Marcello Dell’Utri? Significa affrontare un altro anno e mezzo o due di esposizione mediatica, di chiacchiere e discorsi, di esposizione della sua persona, di nuove udienze, magari di qualche nuovo pentito che compare sulla scena. 

Una sorta di nuovo giorne infernale. Insomma un fatto inaudito, intollerabile se si vuole dare un giudizio complessivo di tutta la vicenda. Ma di fatto questa è la realtà che il senatore Dell’Utri deve affrontare. Certo, si può anche dire che la gente è stanca, spesso nauseata da questa sequenza di processi lunghissimi, di queste vicende che durano, per il momento 16 anni. Ma che dire d’altro?



Forse la Cassazione ha scelto, cassando e rinviando all’appello, non annulando tutto, di salvare la faccia, almeno, alla sentenza della Corte d’appello di Palermo.

Una descione che si può definire, in un certo senso, salomonica. E se ragionassimo in termini di politica giudiziaria potremmo dire che non si è voluto infierire contro Palermo. Ma che, in tutti i casi, questa sia una sconfitta storica e la cancellazione di un teorema politico, è ormai un fatto assodato. Vedremo…

(Gianluigi Da Rold)