Il Pdl è l’ostacolo principale per l’azione del governo Monti. È la tesi che si sostiene da più parti dopo il vertice annullato fra i tre segretari della maggioranza Pdl-Pd-Terzo Polo con il premier Mario Monti. Ma è proprio così se ci astraiamo dal confuso dibattito sulla Rai? Vediamo.

I prossimi 15 giorni saranno decisivi per la riforma del lavoro che ha in corso il ministro Elsa Fornero su spinta delle istituzioni europee. Sulla questione della modifica all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori c’è un’opposizione sindacale, ribadita ieri a Il Corriere della Sera dal segretario della Cgil, Susanna Camusso, e una contrarietà politica espressa dal segretario del Pd, Pierluigi Bersani, per sedare anche i crescenti mugugni della sinistra del partito incarnata su questi temi da Stefano Fassina e Cesare Damiano.



Sulla Torino-Lione, contestando il governo attuale e i precedenti, si è coagulato un movimento No-Tav che comprende antagonismi sociali e politici su cui ha fatto leva il segretario della Fiom-Cgil, Maurizio Landini, che – come ha scritto Nunzia Penelope sull’“Annuario 2011 del lavoro” appena pubblicato – sta trasformando un sindacato di categoria in un movimento politico di alternativa recuperando l’impostazione di Claudio Sabattini.



Ma non è dall’antagonismo sindacale e no-global che giungono i peggiori segnali per l’esecutivo. Se l’azione del tecnogoverno è considerata positiva da Silvio Berlusconi e pure da Walter Veltroni, che invita il centrosinistra a non disperdere in futuro l’afflato riformatore dell’esecutivo, a partire dalla figura di Mario Monti, una prospettiva del tutto diversa è auspicata dall’ex premier Massimo D’Alema. L’ex segretario dei Ds in questi giorni ha lanciato due chiari messaggi al popolo della sinistra e, indirettamente, ai ministri tecnici.

Il primo messaggio è stato: dal 2013, ovvero dalle prossime elezioni politiche, torneranno i partiti. Ovvero: “Il Monti bis è una visione pessimistica delle cose”, ha detto a Dario Di Vico. Come dire: l’esperienza dei tecnici al governo è solo una parentesi. Un’idea condivisa da governatori e sindaci scalpitanti come Enrico Rossi, governatore della Toscana, e come il sindaco di Bari, Michele Emiliano. Il secondo messaggio di D’Alema promana da un’azione a livello europeo dell’ex premier: la stesura questa settimana di un manifesto comune (già ribattezzato Dichiarazione di Parigi) tra il Pd, il Partito socialista francese e i socialdemocratici della Spd tedesca, con una visione che supera l’idea alla base del Fiscal compact franco-tedesco tutto rigore e austerità e che contempla ben poco anche della lettera firmata dai 12 capi di governo, tra cui Monti, David Cameron e Mariano Rajoy, intrisa di liberalizzazioni e concorrenza. D’altronde in un’analisi per l’ultima pubblicazione di ItalianiEuropei D’Alema ha criticato teoria, pratica ed effetti del pensiero neoliberale.



Anche un altro padre nobile del centrosinistra, Romano Prodi, borbotta non poco per il riflesso europeo dell’azione di Monti, al pari del banchiere Giovanni Bazoli che ai suoi interlocutori da giorni va dicendo: questo governo non mi convince. D’altronde i prodiani come Arturo Parisi hanno vissuto con scarso entusiasmo un approdo parlamentare come la maggioranza tripartita che segna un passo indietro rispetto al bipolarismo rappresentato dall’Ulivo di Prodi.

Anche ieri, nel consueto editoriale domenicale su Il Messaggero, Prodi indicava la necessità di una politica industriale da parte dell’esecutivo. Un rimbrotto implicito anche per il mai citato ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera. Chi invece non ha esitato a menzionare Passera, per stimmatizzarlo apertamente e a tratti in maniera maramaldesca, è stato Carlo De Benedetti, patron del gruppo l’Espresso. Nel corso dell’ultima puntata di Servizio Pubblico, la trasmissione tv di Michele Santoro, De Benedetti ha usato toni e argomenti critici tali da superare il commento più aspro del quotidiano la Repubblica: “Il rigore l’abbiamo visto, dell’equità sarebbe il momento di parlarne, mentre sul piano dello sviluppo non ho visto neppure il barlume di un’idea”, ha detto De Benedetti.

E se infine si considera che il giurista Gustavo Zagrebelsky, presidente onorario di Libertà e Giustizia, raccoglie firme in questi giorni su un manifesto che accusa l’ex presidente della Bocconi di essere un epifenomeno antiparlamentarista, il quadro forse è più chiaro del refrain secondo cui il Pdl è l’ostacolo principale del governo Monti.