Piero Sansonetti non è solo un bravo giornalista con la testa libera e autonoma, è anche figlio di una grande scuola di sinistra, che oggi guarda disarmato sia le acrobazie di questa sinistra politica, sia le contorsioni di una parte della magistratura e del codazzo dei giornalisti collaterali che alla fine provocano solo paradossi e raccattano sconfitte. Nell’articolo sul suo giornale Gli Altri, sigla un “pezzo” dal titolo impietoso: “Sentenza Dell’Utri. Con pm e giornalisti così, vince la mafia”. Il taglio dell’articolo ricorda, per certi versi, le paradossali tesi di Leonardo Sciascia a proposito dell’antimafia militante.



Sansonetti, questo articolo le è venuto di getto, con rabbia e con ironia. Complimenti. Ma ritornando alla sentenza della Cassazione su Marcello Dell’Utri, lei che cosa pensa, che sia una sconfitta di portata storica?

Non c’è dubbio, questa è veramente una sconfitta di portata storica. Così come è stata una sconfitta storica il processo alla cosidetta cupola della n’drangheta calabrese, forse la più pericolosa delle organizzazioni criminali in questo momento. Sono riusciti a condannare il capo a 10 anni, senza riuscire ad addebitargli un reato di sangue. Non sono capaci di trovare delle prove, è inconcepibile.



Ma da che cosa dipende questa sconfitta dei magistrati nel caso Dell’Utri? Da faziosita? Da incapacità?

Ormai fanno le indagini probabilmente solo sulle intercettazioni, magari facendo fare dei tour televisivi a qualche pentito. Ma evidentemente non sono capaci di trovare prove di colpevolezza, con le quali, in uno stato di diritto, si fanmno i processi e si arriva alla condanna. Qui siamo a un tam-tam mediatico incessante, a un flusso di si dice e di ipotesi che passano tra i magistrati e i giornalisti che gli stanno intorno. La più bella battuta sulle separazione delle carriere, in questi anni, è la seguente: l’unica separazione delle carriere che si deve fare è quella tra i magistrati e i giornalisti.



In più i tempi biblici di tutti questi processi che spesso si concludono con assoluzioni e con un danno per l’accusato che diventa intollerabile.

Questo sancisce la scomparsa di uno stato di diritto. Io non so se Marcello Dell’Utri sia colluso o meno con la mafia. Il fatto è che per anni è stato esposto ad accuse di ogni tipo. E quell’esposizione ne ha già fatto un condannato. È di fatto un condannato. Però senza prove. Questa è una situazione inaccettabile e intollerabile in uno stato di diritto.

Dalla sentenza della Corte di Cassazione esce anche una valutazione controversa del reato associativo, quello del concorso esterno in associazione mafiosa. 

Se vai in America e ti basi su un reato associativo di quel tipo ti prendono per un matto. Era un aggravante, non un reato. Capisco l’intenzione di Giaovanni Falcone e Paolo Borsellino di vent’anni fa. La necessità di comprendere e indagare sulla cosiddetta “zona grigia” magari limitrofa alla mafia. La mia impressione è che Falcone pensava che un’indagine su quel tipo di reato non comportasse, come avviene adesso, un’immediata condanna di fatto.

Falcone sosteneva anche che la “cultura del sospetto non è l’anticamera della verità, ma l’anticamera del khomeinismo”. Lo scandì davanti al Consiglio Superiore della Magistratura, dove era dovuto andare per difendersi dall’esposto dell’ex sindaco di Palermo, Leoluca Orlando.

E Falcone aveva perfettamente ragione. Qui si passa dalle intercettazioni alla cultura del sospetto. Poi arrivano giornali e televisioni, con la “platea giornalistica” che applaude e rilancia. Un cortocircuito impressionante. E c’è da dire di più, c’è ancora da aggiungere qualche cosa sul reato associativo.

Che cosa?

Quel reato associativo in concorso esterno è un retaggio sabaudo, credo del 1865. Quando c’è la repressione nelle province meridionali, viene “pescato” e inventato quel reato per intimorire i ulteriormente i contadini che non avevano il coraggio, oppure erano atteriti dalla paura, dalle azioni della mafia e dei briganti. Questa è l’origine di questo reato di associazione esterna. Come facciano a difenderlo dei magistrati nel 2012 è un mistero, oppure è solo frutto di una cronica incapacità.

(Gianluigi Da Rold)