La politica estera ieri è tornata prepotentemente in primo piano. Il ministro Giulio Terzi ha riferito in Senato sul fallito blitz inglese che è costato la vita a Franco Lamolinara e sui marò, ancora detenuti in India, mentre il presidente del Consiglio, Mario Monti, accoglieva il cancelliere Angela Merkel, in visita a Palazzo Chigi. «Paradossalmente la politica europea non è più da considerarsi politica internazionale – spiega Antonio Polito a IlSussidiario.net –. Di fatto è politica interna e ha un rapporto diretto e immediato con l’economia e con la finanza. In questo campo, bisogna ammetterlo, siamo messi bene, anzi, forse abbiamo ottenuto anche più di quanto abbiamo fatto. Se invece parliamo di politica internazionale vera e propria, il bilancio del governo non può essere altrettanto positivo».



L’“asse anti-crisi” tra Italia e Germania continua comunque a essere solido?

Direi di sì, sul piano della credibilità abbiamo raggiunto grandi risultati, anche se lo stesso Monti ha incontrato parecchie resistenze sugli eurobond e sul Fondo salva Stati, proprio da parte tedesca. Ad ogni modo per la Merkel rappresentiamo ancora un ottimo alibi quando deve chiedere dei sacrifici ai suoi concittadini in nome dell’Europa. Se non continuassimo a dimostrare questo impegno sulla strada delle riforme per lei sarebbe tutto più difficile.



Fuori dal contesto europeo invece dimostriamo una certa debolezza?

Diciamo che laddove i rapporti tra stati sovrani non sono legati da una comune appartenenza e, soprattutto, sono guidati dallo scorrere degli eventi più che dalla programmazione dei vertici emergono tutti i nostri limiti.
D’altra parte, fino a quando si parla di riforme economiche un governo non eletto è destinato a fare meglio di un esecutivo che ha il timore di perdere le elezioni. Quando invece contano i rapporti di forza tra stati, i governi politici si mostrano più determinati. Nella vicenda dei marò o nell’uccisione dell’ostaggio italiano in Nigeria lo si è visto: i professori hanno tenuto un profilo troppo basso.  



Ma, alla luce di queste criticità, qual è lo stato di salute della maggioranza politica che sostiene il governo? Tra Alfano e Bersani il livello di scontro continua a salire.  

Non è dei migliori e tenderà a peggiorare almeno fino al voto di maggio. D’altra parte, i due principali partiti stanno tentando di mostrarsi forti, sicuri di se e alternativi l’uno all’altro per poter attrarre voti. Non solo, man mano che calerà la paura dello spread i partiti ricominceranno a litigare su ciò che gli interessa di più. Emerge poi sempre più chiaramente un dato che all’inizio si poteva solo intuire.

Quale? 

Mentre su come si salva il Paese dal baratro finanziario le opinioni dei due partiti maggiori non divergono più di tanto (e vengono volentieri lasciate ai tecnici le decisioni più impopolari), su tutto il resto sono radicalmente diverse. Di conseguenza non esiste una vera maggioranza in Parlamento sui temi che scottano, dalla Rai alla giustizia. Sono delle mine ereditate dalla passata legislatura che Monti non può maneggiare.

E come farà il governo a non incartarsi, dato che sono state inserite di nuovo in agenda?
 
Quello che Monti potrebbe fare a mio avviso è ottenere il via libera nel poter applicare sistemi di efficienza nei due settori. Se si dovesse parlare di separazione delle carriere, infatti, la maggioranza non esisterebbe più, mentre sull’esigenza di rendere il sistema più efficiente ci sarebbe un’ampia convergenza.
Lo stesso vale per la Rai. Scegliere un cda e un direttore generale che possa agire con efficacia è un obiettivo raggiungibile.  

In vista delle amministrative, Palermo e Verona si rivelano i casi più interessanti?

Il voto veronese ci permetterà di capire come potrà concludersi la sfida interna alla Lega, con un sindaco che prova ad aprire una stagione nuova. Ma sarà la tornata nella cosiddetta Padania a pesare. Alle elezioni andranno infatti dodici città capoluogo (più i comuni minori) di cui otto attualmente nelle mani del centrodestra.
Dopo la “caduta” di Milano, un’eventuale avanzata al Nord del centrosinistra sarebbe un fatto politico decisamente rilevante, che proverebbe, tra le altre cose, che solo l’alleanza tra la Lega e il Pdl assicura il Settentrione al centrodestra.

Nel capoluogo siciliano si può invece parlare di un “laboratorio” Pdl-Udc?

Stiamo parlando della terra di Angelino Alfano e della regione nella quale l’Udc raccoglie più voti. Per questo motivo non minimizzerei, anche se le primarie del centrosinistra riaprono una partita che storicamente è nelle mani del centrodestra.  
Detto questo, è ancora presto per trarre delle indicazioni su quelli che sono i progetti di Casini. D’altronde il leader dell’Udc ha sempre detto che quando il centrosinistra sceglie candidati in maniera autonoma, l’Udc non li accetterà mai.

(Carlo Melato)