Al termine di una nuova lunga giornata di trattative, il premier Mario Monti ha annunciato una riforma del mercato del lavoro «solida e coerente con la Fornero-uno, quella delle pensioni». Solo sull’articolo 18 l’accordo con la Cgil non è stato raggiunto. La partita però è chiusa definitivamente e non verrà riaperta nemmeno giovedì, quando è previsto l’incontro finale.
«Il governo esce molto rafforzato da questa vicenda – dice Antonio Polito a IlSussidiario.net –. Ha perseguito con determinazione l’obiettivo e l’ha raggiunto, senza costringere nessuna delle parti sociali all’umiliazione della sconfitta. Non solo, ha riaffermato la centralità del Parlamento, dove è destinata a essere approvata, anche se potrà verificarsi qualche singolo dissenso».



Il governo ha voluto quindi privilegiare i contenuti che si era prefissato rispetto all’intesa con tutti i sindacati?

Ciò che conta di una riforma è che sia efficace e riconosciuta come tale. Ora che deve partire per l’Estremo Oriente il premier potrà infatti spiegare con forza che non esistono più buone ragioni per non investire in Italia. E direi che questo è decisamente preferibile rispetto a una riforma inefficace fatta con il consenso di tutti. Il potere di veto non esiste più e, se guardiamo con attenzione, non si può certo dire che i sindacati abbiano ottenuto poco.



A cosa si riferisce?

Ad esempio alla flessibilità in entrata. Gli stage non retribuiti verranno proibiti, i rapporti di lavoro a tempo determinato saranno resi più sconvenienti e ci sarà maggiore attenzione rispetto alle partite iva utilizzate per coprire il lavoro subordinato. Non solo, la platea di quelli che godranno di un assegno di disoccupazione si allargherà enormemente, da un milione a dodici milioni circa.
Anche per quanto riguarda la flessibilità in uscita mi sembra poi che siano state introdotte norme di grande civiltà.

L’accordo non è stato possibile solo sui licenziamenti per motivi economici?

Sì, ma non dimentichiamoci che i licenziamenti discriminatori diventeranno nulli anche per le aziende sotto i 15 dipendenti. In questo ambito si può parlare quindi di un’estensione dell’art. 18. Sui licenziamenti disciplinari invece deciderà il giudice, come avviene in Germania. Infine, su quelli per motivi economici, all’azienda viene riconosciuta la possibilità di riorganizzare il lavoro, licenziando ad esempio il centralinista, se decide di dotarsi di un centralino automatico. Il lavoratore però dovrà essere risarcito dai 15 ai 27 mesi, a cui bisognerà poi aggiungere l’assegno di disoccupazione. 



Tutto questo non è bastato a convincere Susanna Camusso.

Credo che dipenda dalla grande valenza ideologica e simbolica con cui, purtroppo, l’articolo 18 è stato caricato in questi ultimi dieci anni. E anche dalla Fiom, vera “spina nel fianco” della Cgil, sempre più simile a una forza politica che a un sindacato. Se consideriamo infatti i lati positivi sottolineati prima credo che la Cgil potesse accettare le proposte di Monti. 

C’è poi da capire su chi andranno a pesare i costi della riforma.

È presto per dirlo, di certo però il sistema, una volta a regime, dovrà reggersi da solo. Lasciando da parte l’assistenza, infatti, i sistemi assicurativi dovranno essere in equilibrio. E tenendo conto che andrà in funzione nel 2017, bisognerà mettere in conto una spesa iniziale dello Stato di circa due miliardi e mezzo di euro.  

A livello politico la pressione a questo punto si sposterà tutta sul Partito Democratico?

A mio avviso il Pd proverà a far passare in Parlamento degli emendamenti sulla scia delle preoccupazioni della Cgil. Di sicuro però il voto a favore non è discussione, con l’eccezione di qualche singolo parlamentare democratico e magari di qualche “falco” del Pdl, scontento da queste mediazioni.
E non è detto che, incassato questo nuovo successo, il governo Monti non punti a un nuovo traguardo  ambizioso, quello della riforma della Giustizia…

 

(Carlo Melato)