Cambiare la riforma elettorale, la numero 70 del 21 dicembre 2005, creata da Roberto Calderoli (che poi l’ha definita “porcata”). Il cosiddetto “porcellum”, per bocca del politologo Sartori, sembra sia uno dei fattori che mette d’accordo tutti i partiti. Da Letta che dice che è impensabile andare a votare senza la riforma, sino a Schifani che un paio di giorni fa ha rivendicato per i cittadini la restituzione del diritto di scelta. Anche Berlusconi aveva ,invece, auspicato non molto tempo fa, l’emarginazione dei partiti più piccoli: Grilli, il SEL di Vendola o i Radicali rendendo quindi necessaria una soglia di sbarramento più alta per l’accesso in Parlamento: bipolarismo, quindi, allo stato puro.
Per Il Sussidiario.net abbiamo chiesto un parere a Sofia Ventura, politologa e professoressa associata all’Università di Bologna, di Scienze Politiche e di Leadership.
Cambiare la legge elettorale, e quindi rafforzare il bipolarismo, è sinonimo di maggiore governabilità?
Non sempre. Creare qualcosa di diverso dal porcellum non implica in tutti i casi rafforzare il bipolarismo, visto che l’attuale legge elettorale lo mantiene. Poi, ha una serie di elementi negativi come il fatto che si tratta di un sistema proporzionale che porta ad un tipo di bipolarismo frammentato. L’altro problema è invece è la selezione della classe dirigente, il fatto che i candidati siano scelti dai partiti in maniera, forse un po’ troppo arbitraria senza preoccuparsi della loro capacità di avere consenso o un’immagine credibile. Però non sempre andando oltre il porcellum si esalta sempre il bipolarismo, dipende. Lo si può anche distruggere.
Tutte le forze politiche hanno criticato negli anni il “Porcellum” di Calderoli, ma perché ancora manca la necessaria spinta per riformare il sistema?
In realtà, non c’è consenso su un modello condiviso di democrazia da produrre. Se si vuole comunque consolidare un aspetto di tipo maggioritario con una maggioranza omogenea, cioè con un aspetto dove gli elettori scelgono una maggioranza che a sua volta forma il nuovo governo, non c’è convergenza. In realtà, nessuno ha il coraggio di dire che si vuole “proporzionalizzare” di nuovo il sistema come nella prima Repubblica. Nessuno si sente di dire esplicitamente che si vorrebbe un sistema elettorale proporzionale che consenta ai partiti di scegliere un esecutivo dopo le elezioni. Non c’è un’unità di vedute ma c’è un tentativo di trovare un compromesso difficilmente raggiungibile soprattutto se l’opzione è fra le ipotesi che accennavo prima. L’altro problema, che non è secondario, è che forse un orizzonte non c’è nemmeno. Il ceto politico è occupato al momento a capire come sopravvivere, più che altro, si va a tentoni cercando di capire quale sia il sistema che da più garanzie per restare a galla.
Il sistema tedesco è quello meglio adattabile alla cultura politica italiana?
Io non credo a sistemi politici adattabili a culture politiche. Questa è un po’ la scusa che viene utilizzata in Italia, e secondo cui il nostro paese è un eccezione che necessità di sistemi elettorali del tutto particolari. Il nostro sistema politico potrebbe benissimo adattarsi a modelli maggioritari. Il sistema tedesco è, invece, proporzionale che comunque in Germania non ha impedito, come si accennava prima, una dinamica bipolare ma per fattori del tutto diversi dai nostri e che hanno a che fare con la storia tedesca. In Italia credo che con un sistema istituzionale debole, che produce governi non forti intendo, come il nostro e con una frammentazione partitica così prepotente, prendere esempio dalla Germania sarebbe deleterio perché non creerebbe maggioranze omogenea, spezzando ancora di più la scena partitica.
Quale sistema proporzionale può garantire la maggiore stabilità?
Innanzitutto, si potrebbe anche uscire dai sistemi proporzionali: non è un diktat. Però, se proprio vogliamo un sistema di questo tipo, scusi il gioco di parole, quello più adatto sarebbe uno meno proporzionale. Cioè un sistema come quello spagnolo, dove i collegi sono molto piccoli e quindi ci si avvicina alla logica dei collegi uninominali: meno proporzionale sarà il sistema e meglio sarà, se si vorrà produrre un assetto politico più efficace. Maggiormente capace di produrre maggioranze omogenee e, a loro volta, governi compatti.
Si è parlato di sfiducia costruttiva, ovvero il sistema secondo cui non si potrà sfiduciare un premier senza avere la fiducia su un altro nome. E’ un’ipotesi percorribile e in che modo?
Volendo sì, ma non mi sembra decisiva: è adotta in Germania e in Spagna e forse può avere un effetto deterrente ma non garantisce la governabilità, che è assicurata principalmente da un sistema partitico semplificato dove si hanno due grandi partiti che vincono da soli le elezioni o comunque formano coalizioni dove mantengono un controllo totale all’interno della maggioranza. La sfiducia costruttiva, più che altro, introduce elementi di rigidità e non la ritengo decisiva.