Forse è la volta buona. In un clima di surreale collaborazione, i leader dei partiti che sostengono Monti si sono incontrati, sono stati attorno a un tavolo per due ore, e hanno partorito un accordo. Alfano, Bersani e Casini assieme agli sherpa delle riforme (La Russa e Quagliarello per il Pdl, Violante per il Pd, Bocchino e Adornato per il Terzo Polo) hanno convenuto di intrecciare la riforma elettorale con quella costituzionale; trovandosi in sintonia su svariati punti. Sul fronte elettorale, l’intenzione è quella di reintrodurre le preferenze, rimuovere il vincolo di coalizione, introdurre l’indicazione del premier e una soglia di sbarramento più elevata. Su quello costituzionale si procederà verso la riduzione del numero dei parlamentari (500 deputati contro gli attuali 630 e 250 senatori contro gli attuali 315), la revisione dell’età per l’elettorato attivo e passivo, il superamento del bicameralismo perfetto e il rafforzamento dei poteri del premier. Sarà la volta buona? Lo abbiamo chiesto a Paolo Franchi.
Crede che i partiti stiano facendo sul serio?
Da quanto emerso dalla indicazioni di fondo, vi sono alcuni punti di contraddittorietà, quali la rimozione del vincolo di coalizione contestualmente all’indicazione del candidato premier; ovvero, un’indicazione tipica di uno schema proporzionale o neo-proporzionale accanto ad un’altra tipica di uno schema bipolare classico; ebbene, salvo tali contraddizioni, direi che sono intenzionati ad andare fino in fondo. Quantomeno, vi sono costretti.
Cosa intende?
Se i partiti dovessero andare a elezioni in queste condizioni, infatti, non avrebbero scampo. Le forze che stanno sostenendo il governo stanno collaborando per far sì che il governo tecnico rappresenti solamente una parentesi nella vita democratica; e si sono date come orizzonte temporale la scadenza naturale della legislatura per rimuovere quegli ostacoli che si potrebbero frapporre al loro futuro politico.
Quali ostacoli?
L’accordo sulla riforma della legge elettorale contempla, in particolare, due aspetti imprescindibili: il primo riguarda il premio di maggioranza. Viene attribuito a prescindere dal risultato e rende possibile governare a chi a preso il 30% alla faccia del rimanente 70%. In un clima di profonda crisi della rappresentanza politica, con un sistema del genere non si va lontano. Il secondo riguarda la questione delle nomine. Il fatto che siano i segretari di partiti contenitore a decidere chi va o non va in Parlamento incentiva l’antipolitica o forme di distacco tra la politica e i cittadini. C’è, infine, un problema generale di rappresentanza, legato al cambio della legge elettorale.
Ci spieghi meglio.
La legislatura è iniziata con l’ambizione, oltre che bipolare, bipartitica. Il fatto che con i due partiti maggiori, Pdl e Pd, si fossero alleati la Lega e l’Idv aveva rappresentato una sorta di eccezione. La legge elettorale attuale aveva senso allora. Oggi, in una situazione in cui ciascuno dei partiti maggiori è in forte difficoltà, una legge che sovrastima in tal modo le formazioni politiche più rilevanti rappresenta un non senso. E non sarebbe più accettato dall’opinione pubblica.
Cosa potrebbe accadere nella peggiore delle ipotesi?
Immagini di andare a votare dopo un anno e mezzo di governo tecnico chiamato per gestire una profonda crisi economica, dove maggioranza e opposizione sono state messe in mora ma, alla fine, pur scalpitando l’hanno sostenuto; ebbene, se in questo periodo di tempo non fossero state in grado di porre rimedio neppure a quei problemi che in parte hanno determinato l’ingovernabilità del Paese né di varare una legge elettorale decente, il distacco dei cittadini dalla politica diventerebbe irreversibile.
Quindi?
Non andrebbero a votare o darebbero i propri voti alle formazioni estremiste.
Crede che l’avvertimento di Monti rispetto alla possibilità di lasciare l’incarico possa aver accelerato il processo di collaborazione?
Credo che qualche nesso ci sia. Si è trattato di un avvertimento. Come dire: “nelle condizioni in cui siete messi vi mettere pure a litigare? Allora, me ne vado”.
Perché, ieri, non si è parlato della riforma del mercato del lavoro, altro tema caldo del momento?
Il Pd ha fatto della questione dell’articolo 18 una questione di vita e di morte, sulla quale ha costituito un’unità fittizia nel corso della direzione nazionale; il Pdl dal canto suo, se si dovesse accontentare il Pd sulla disciplina dei licenziamenti, avanzerebbe una serie di rivendicazioni compensatorie. L’Udc, infine, qualunque cosa il governo faccia, gli va bene. Ecco: per ciascuno, un passo indietro o un passo avanti sarebbe svantaggioso, potrebbe comportare una significativa emorragia di voti. Pertanto, è probabile che si è preferito, al momento, non toccare l’argomento.
(Paolo Nessi)