Che sia stato sfrontato o meno, poco importa; in sostanza, effettivamente, il premier aveva ragione mentre, da Tokyo, affermava che la riforma del lavoro procederà con passo spedito. Ed che è inutile che i partiti si stanchino ad abbaiargli contro. Tanto, lui, il consenso ce l’ha. E i partiti no. Ma è proprio vero? IlSussidiario.net lo ha chiesto ad Arnaldo Ferrari Nasi, direttore dell’omonimo istituto di ricerca e Docente di Analisi della Pubblica Opinione all’Università di Genova. «Ha ragione il premier. O, meglio: non che si possa dire con assoluta certezza che Monti abbia un così elevato consenso. Di sicuro, tuttavia, è vero il fatto che non ce l’hanno i partiti». Secondo un sondaggio che Nasi sta effettuando proprio in questi giorni (di cui, quindi, ovviamente non può fornire i dati analitici), Monti sta subendo, recentemente, un calo di popolarità. «Dopo la Luna di miele dei primi cento giorni e dopo la gestione dell’emergenza in cui tutti i partiti dovevano far buon viso a cattivo gioco, il premier si è ritrovato a compiere delle scelte difficili e azioni che, necessariamente, hanno avuto un imprinting politico. D’altro canto, i vari partiti, considerate le scelte politiche del premier, hanno iniziato a sentirsi legittimati ad alzare la voce». In ogni caso, per il presidente del Consiglio, fa ben poca differenza: «che Monti riesca nel suo intento di riportare l’Italia alla stabilità economica o che non ci riesca, non cambia nulla. Ciò che è certo, infatti, è che i cittadini, se dovessero votare oggi, preferirebbero mettere la croce sul nome di Mario Monti o, in alternativa, su quello di qualche esponente del suo governo. Di sicuro, non sopportano più gli attuali partiti».
E, al di là del calo di popolarità, lo scarto tra chi apprezza Monti e tra chi avverte, ormai, il distacco dai tradizionali partiti è altissimo: «nell’ordine di 1 elettore a 3». C’è poi la questione del mercato del lavoro. Monti si è detto sicuro che la riforma, gli italiani, la vogliono, eccome. «Non è facile stabilirlo. Sta di fatto che quando ho chiesto agli elettori del Pd se il loro partito, appoggiando la politica sociale e del lavoro di Monti snaturasse o meno i propri ideali, il 45% aveva risposto di no, il 34% sì e il rimanente 21 si era dichiarato senza opinione». La situazione sembra chiara. Qualcosa, tuttavia, potrebbe cambiare. Di recente alcune defezioni in seno al Pdl, con la nascita della locali Forza Lecco, Forza Verona e Forza Monza hanno lasciato intendere che il fermento è ben più frizzante di quanto si immagini. «L’impressione è che l’idea possa sortire qualche effetto. Tanto più che si ha la sensazione che si tratti di un’idea di Berlusconi stesso. Non di certo di una Brambilla nostalgica di Forza Italia. Ebbene, se le cose stessero effettivamente in questi termini, significherebbe che l’ex premier è intenzionato a rigettarsi nella mischia». Resta da capire se scenderà nuovamente in campo, ricandidandosi a premier o se, come ha più volte promesso, si “accontenterà” di sedere in Parlamento e di svolgere il ruolo di padre nobile del Pdl. «Berlusconi, allora, fece quelle promesse con i dati alla mano. Un mio sondaggio dell’epoca rivelò come la stragrande maggioranza degli elettori lo considerava il leader del Pdl e, contestualmente, affermava che non si sarebbe dovuto ricandidare».
Ma le carte in tavola, tra un anno, potrebbero cambiare. «Potrà dire, come ha fatto da subito, di non essere mai stato sfiduciato e di essersi dimesso per il bene del Paese. Avrà lasciato a Monti il “lavoro sporco” mentre di qualunque svantaggio per il Paese potrà dare la colpa al Pd, all’Udc e ad Alfano. Potrebbe, quindi, aver riacquistato credibilità politica. Tutto dipenderà, a quel punto, se a 76 anni avrà ancora voglia o meno di candidarsi».