Politica e affari. Un intreccio che sta mettendo sulla graticola il PD pugliese, travolto da inchieste piene di dettagli imbarazzanti sulla contiguità tra questi due mondi. Prima lo scandalo “cozze pelose”, regalo ittico (senza rilievo penale) spedito dalla famiglia di costruttori Degennaro al sindaco di Bari Michele Emiliano – al quale Bersani ha inviato nei giorni scorsi un sms: “pela le cozze e vai avanti!”, messaggio rincuorante che sulla Gazzetta del Mezzogiorno qualche ribaldo ha trovato riassuntivo della “storica differenza tra il PD e il PDL di Berlusconi: quest’ultimo il pelo non lo toglie, l’ha sempre tenuto al centro della sua politica”. Poi le nuove indagini sugli appalti sanitari e gli accreditamenti delle cliniche private tra Foggia e Bari, dov’è rispuntato il nome dell’ex assessore alla sanità (dimessosi dal PD) Alberto Tedesco.
A ricordarci che in tutti questi episodi c’è in gioco una concezione e una pratica della politica che vanno ben oltre la Puglia (e che sollevano un problema esistenziale per un Partito Democratico alle prese con la sua identità), arriva il libro-inchiesta firmato da Claudio Gatti e Ferruccio Sansa per Chiarelettere: “Il sottobosco: berlusconiani, dalemiani e centristi uniti nel nome degli affari”.
Il sottobosco è quel mondo che preferisce l’ombra umida e il silenzio alla luce del sole, dove le diverse storie politiche non contano: pesa molto di più l’abilità nel combinare rapporti d’affari e condividere interessi comuni. Un ambiente di incroci formidabili: tra cespugli e arbusti si scopre che l’homo dalemianus, messo specialmente sotto la lente dai due autori, finisce per congiungersi con quello berlusconianus, essendo questo “habitat” il loro punto d’incontro economico e perfino antropologico.
Il cuore del sottobosco post-comunista è un appartamento romano con terrazza al numero 9 di piazza del Colosseo, proprietario Francesco Palmiro Mariani detto Franco, oggi presidente del porto di Bari. Qui, raccontano Gatti e Sansa, dopo la vittoria alle elezioni del 1996 si raduna il gruppo del cosiddetto “Ulivo da bere”. Vengono dalla Puglia e da Genova, il loro motto potrebbe essere carpe diem perché vogliono afferrare tutto: politica e affari, cibo e divertimenti. Li unisce un punto di riferimento: Massimo D’Alema. Sono uomini come Franco Lazzarini, Claudio Burlando, Claudio Velardi, Vincenzo Morichini, Franco Pronzato.
Ma il personaggio-chiave è Roberto De Santis, colui che si definì “il fratello minore di D’Alema”, imprenditore con una robusta rete di relazioni trasversali in ogni ambiente sociale e politico e finanziario che qualcuno chiama “l’uomo invisibile” visto che è impresa ardua rintracciare una sua foto recente – una delle poche disponibili per il cronista lo ritrae, quasi a inizio carriera, impegnato in una conversazione telefonica e non a caso molte pagine di ricostruzione del libro si basano sulle carte delle intercettazioni disposte dalla magistratura.
Così Gatti e Sansa descrivono lo strano “duo bipartisan” formato tra 2007 e 2008 da De Santis e dal cofondatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri per trattare una compravendita di petrolio venezuelano – un affare da oltre 30 milioni di euro. Anello di collegamento: Marino Massimo De Caro, consulente della AVELAR, società ginevrina controllata da Viktor Vekselberg, uno degli oligarchi più ricchi nella Russia dell’“amico Putin”.
Ambiente diverso e altre referenze tra la vegetazione della Calabria, dove la strada del “fratello minore di D’Alema” s’incrocia con quella di Lorenzo Cesa e della sua società di famiglia, la Global Media, che si occupa di eventi e comunicazione aziendale. Tra i clienti della Global Media, per 350 mila euro, risulta la società Pianimpianti (di cui De Santis è stato vicepresidente del consiglio d’amministrazione tra luglio 2006 e luglio 2007), finita nell’inchiesta “Energopoli” per la mancata costruzione di una centrale a turbogas finanziata coi fondi europei.
Ma il nome di De Santis spunta anche tra la macchia mediterranea della Liguria, feudo del dalemiano Claudio Burlando, dove Gatti e Sansa lo trovano seduto, insieme a tanti uomini vicini al centrosinistra, nel cda di Festival Crociere, “la Parmalat della navigazione”, fallita nel 2004 lasciando un buco da oltre 270 milioni – alimentato anche dall’acquisto di case e yacht per amici e parenti. Più a Nord, a Sesto San Giovanni, nel regno di Filippo Penati, ecco De Santis impegnato in una gigantesca operazione immobiliare come presidente della MilanoPace Spa accanto ad altri “amici di baffino”, come il costruttore Enrico Intini da Noci, provincia di Bari, 44 società per 4 mila dipendenti. Proprio dagli atti dell’inchiesta barese sul “ciclone Gianpaolo Tarantini”, l’imprenditore che procacciava le escort al Cavaliere, risulta una telefonata di “Gianpi” a Berlusconi per parlargli “di Sesto san Giovanni” dove, insieme a un amico, “abbiamo costruito delle cosine”.
Insomma una strana riedizione del “compromesso storico” quella che emerge dal sottobosco. Un ambiente che molti troveranno forse cinico e spregiudicato, anche se ognuno dei protagonisti potrebbe ripetere: perché mi accusate senz’altra colpa che delle relazioni di amicizia? Resta da capire che cosa succederà al riparo degli alberi d’alto fusto dopo l’ingresso tra la vegetazione italiana di una specie particolarmente evoluta: l’homo bocconianus con un genotipo nord-europeo portatore di nuovi comportamenti e di un insolito linguaggio. Riusciranno a trovare un riparo o magari una qualche forma di adattamento le specie dalemiana e berlusconiana in questo momento di crisi della politica? Oppure l’homo bocconianus si servirà della sua “tecnica superiore” per conquistare in via definitiva e verrebbe da dire darwinianamente il paese, sottobosco incluso?