La vittoria di Fabrizio Ferrandelli alle primarie di Palermo riapre la polemica nel Pd su uno strumento che, da Napoli a Genova passando per Milano, ha già riservato parecchie delusioni ai dirigenti democratici. Ancora una volta, infatti, il candidato appoggiato dalle segreterie è stato punito dalla base, anche se questa volta si trattava di Rita Borsellino, nome altamente simbolico su cui, tra l’altro, si era verificata la convergenza di Pd, Sel e Idv.
«Un voto contro la “foto di Vasto”» nell’analisi del montiano Enrico Letta e di tutta l’area veltroniana. «Un risultato che potrebbe portarci a chiedere le dimissioni di Bersani», ha dichiarato il senatore Beppe Lumia, sostenitore del candidato vincente.
«Al di là di qualche inutile polemica, non è la leadership del segretario del Partito Democratico a essere in discussione – spiega a IlSussidiario.net il direttore de l’Unità, Claudio Sardo –. E non c’era certo bisogno di Palermo per capire che il trio di Vasto non rappresenta più una prospettiva soddisfacente. Sostenendo il governo Monti, il Pd ha infatti scelto di collaborare per rilanciare una democrazia competitiva in cui si propone come una delle due opzioni politiche affidabili. Una decisione in cui si può cogliere il senso di una non autosufficienza, ma anche di un’alternativa.
Chi costruisce delle teorie sui singoli episodi rischia invece di contraddirsi. Seguendo quella logica, Genova avrebbe dovuto consacrare l’alleanza con Sel e Idv».



Direttore, quale dato politico bisogna trarre allora da queste primarie?

Faccio una premessa. Stiamo parlando di uno strumento di selezione della classe dirigente, basato su alcune regole concordate in precedenza. E il risultato va accettato, anche se il candidato del Pd viene sconfitto. Nel caso di Palermo, a mio avviso, il vero rischio da scongiurare a questo punto è che si ripeta, tra i vari riconteggi, l’esperienza napoletana nella quale alla fine non ci furono vincitori. Detto questo, la vittoria di Ferrandelli non è certo frutto del caso.



Cosa intende dire?

Il Pd in Sicilia negli ultimi due anni ha impostato una politica di collaborazione con il Terzo Polo che ha ricacciato all’opposizione il Pdl. Questa esperienza evidentemente non si è fatta mettere tra parentesi e ha avuto dei riflessi negativi su una candidatura come quella della Borsellino, che prevedeva una rottura netta con il Centro. 

Al di là del dato locale, secondo lei non sono proprio quelle regole concordate di cui parlava prima a dover essere ripensate?

Guardi, io sono convinto che le primarie siano un elemento identitario del Pd, ma non debbano essere usate per regolare i conflitti interni a una coalizione.
Laddove sono state inventate (Usa) e importate (Francia) esistono dei correttivi che noi non abbiamo saputo prevedere. Per questo sono convinto che sia il caso di passare alle primarie di partito, altrimenti il rischio è quello di non avere maggiore democrazia, ma un deficit della stessa.
D’altronde il maggioritario di coalizione è il cancro della Seconda Repubblica e questo strumento, inserito in un corpo malato, non ha portato i frutti sperati.



Quali sono gli effetti collaterali più gravi?

Uno degli aspetti più singolari è che, se si lasciano come sono, anche gli elettori di centrodestra possono votare e incidere sulle scelte e sulle prospettive del centrosinistra.
Non solo, si lascia a chi perde le primarie un potere di ricatto enorme, dato che candidandosi ugualmente è possibile scavalcare il risultato e dividere il proprio campo. Cosa che non potrebbe accadere all’interno di un partito, nel quale esistono regole e meccanismi di disciplina consolidati. Ma soprattutto: decidere con chi ci si vuole alleare attraverso delle primarie di coalizione è davvero un controsenso.

Lei prima diceva che il Partito Democratico vuole continuare a proporsi come una delle due alternative. La prospettiva della Grande Coalizione dopo il 2013 è da scartare?

A mio avviso occorre superare il maggioritario di coalizione, che ha dimostrato tutti i suoi limiti, con un sistema tedesco, bipolare, ma fondato su base proporzionale.
Per quanto riguarda la Grande Coalizione sono convinto che diventerà la nuova politica di Berlusconi, dato che è consapevole del fatto che perderebbe le elezioni. Temo però che anche il Centro sposi questa linea. Sarebbe un grave errore.

Per quale motivo?

Se il Pd si trovasse da solo a sostenere la necessità di una competizione andrebbe in grande difficoltà. Il Terzo Polo, però, non deve rovinare il servizio che ha reso al Paese, lavorando per la nascita del governo Monti.
Capisco che la tentazione di protrarre una democrazia non competitiva per ragioni tattiche sia molto forte. Ma deve avere la forza di dimostrare che il modello tedesco di cui parla da anni sia davvero migliore e che non produca una situazione di “stallo”, ma una democrazia competitiva e virtuosa. Altrimenti avrebbero ragione quelli che sostengono che l’unico schema che ci ha dato l’alternanza è stato quello fondato sul Mattarellum e sul Porcellum.

Il Centro dovrà quindi scegliere da che parte stare?

Non deve certo rinunciare alla sua autonomia politica, ma contribuire a comporre una coalizione di governo, chiedendo delle contropartite e battendosi per ciò in cui crede.
In quel caso potrà negoziare un accordo di coalizione e di legislatura, con il Pd o con il Pdl. Ovviamente mi auguro con il Pd…

(Carlo Melato)