Che si debba ritornare alla politica, anzi a un autentico “scontro politico”, ideale, progettuale, culturale, lo dimostrano i fatti di questi giorni. Da un lato c’è una ventata gelida che sta investendo la Lega Nord, con vari personaggi, tra cui lo stesso Umberto Bossi, che vengono messi in discussione per “questioni di soldi”, dall’altro c’è la sorpresa del Governatore della Puglia, Nichi Vendola, che anticipa con una conferenza stampa le indagini sul suo conto intorno ai metodi per la nomina di un primario ospedaliero. I due fatti non possono essere comparabili, nella sostanza, nella dimensione, nella consistenza, ma tuttavia nell’opinione pubblica creano una sorta di “calderone” che alimenta quotidianamente un quasi programmato “screditamento della politica”. Peppino Caldarola, analista politico ed ex parlamentare dei Ds, conviene nella visione di una politica e dei suoi personaggi attuali quasi in caduta libera nell’opinione pubblica.
Scusi Caldarola, perché secondo lei Nichi Vendola ha anticipato questi fatti che lo tirano in ballo?
Credo che lo abbia fatto per tirarsi fuori dal magma della sanità pugliese, dove ci sono altre tre inchieste. Anticipando le cose, con una conferenza stampa, credo che abbia pensato proprio a questo. C’è da considerare che il primario nominato ha tutte le credenziali per quella carica, più che mai adatta allo scopo. Mi sembra proprio un episodio marginale. Resta comunque il problema che l’opinione pubblica non rimane mai indifferente di fronte a questi episodi. E qui si evidenzia un problema che alla fine deve essere affrontato se non vogliamo che la nostra democrazia vada a carte e quarantotto.
Senza mettere in relazione i fatti che stanno avvenendo, c’è un clima in giro che appare poco piacevole.
Altro che poco piacevole, si sta di fatto riproducendo un clima da 1992, che riguarda tutti gli attori della nostra politica, tutti messi dentro indistintamente in un calderone. È questo l’aspetto più inquietante di tutta la vicenda che stiamo vivendo.
In questo periodo, per i protagonisti della politica e per i partiti sembra di assistere quasi a un gioco al massacro.
Sì, sembra proprio un gioco al massacro, con dei partiti che sembrano inerti. Si può guardare in questo momento a come sono messi i partiti e i protagonisti della politica italiana. Sintetizzando brutalmente si può dire che sono commissariati dal “governo dei tecnici”, commissariati dalla magistratura e assediati dai cittadini. Questa non è di certo una condizione che può garantire uno sviluppo democratico, che può avvenire solo attraverso un confronto dei partiti su idee e progetti diversi.
Realisticamente, come si può uscire da una situazione di grande difficoltà come questa?
Esiste innanzitutto un problema tecnico. Si può uscire realisticamente da questa condizione con i partiti che fanno veramente una cura dimagrante e mettono rimedio a tutta questa storia sul finanziamento dei partiti. Stabiliscano delle regole precise, facciano qualche cosa di credibile, in modo da non essere oggetto quotidianamente di critiche severe, soprattutto in un momento come questo. Ma c’è un secondo punto che è ancora più importante, che può essere di carattere culturale se lo vogliamo definire in qualche modo. In realtà è prettamente politico.
Di che cosa si tratta?
I partiti devono riappropriarsi di progetti, di dialettica, di confronti serrati, di un dibattito serio tra loro con idee differenti. Io non ho alcun timore a dire che occorre ritornare a quello che si chiamava lo “scontro politico”, ovviamente in termini di civiltà. Senza questo la democrazia non c’è più e i partiti finiscono nel tritacarne di inchieste, contrapposizioni personali, scandali di vario tipo e cadono verticalmente nella considerazione dell’opinione pubblica.
C’è un bisogno di ritorno della politica, come quella che ha caratterizzato l’Italia dopo l’ultimo dopoguerra.
È indispensabile ormai, altrimenti gli spazi di democrazia si chiudono. Ma come si fa a pensare allo sviluppo di una democrazia senza un confronto tra partiti che discutono, che si scontrano su progetti e idee differenti? Senza una dialettica interna. Senza queste cose si finisce con lo screditare tutto e si inaridisce qualsiasi sviluppo democratico.
(Gianluigi Da Rold)